Roma 25 giugno 2013 – I giovani imprenditori immigrati? A Milano sono più “longevi” di quelli autoctoni: dopo 36 mesi di attività sopravvive il 69% delle aziende che hanno per titolare un trentenne straniero, contro il 63,5% di quelle guidate dai coetanei italiani.
È uno dei dati che emerge dal “Rapporto sulla citta' Milano 2013' presentato ieri dalla fondazione culturale Ambrosianeum, che quest’anno si è concentrata sull'identikit dei cosiddetti “giovani adulti” che vivono nel capoluogo lombardo. Uno dei capitoli, curato da Egidio Riva e Mario Lucchini, è dedicato proprio all' "imprenditorialità dei trentenni stranieri nel contesto metropolitano milanese”.
“I trentenni costituiscono poco più di un quarto del totale dei titolari di imprese individuali a Milano. La loro incidenza relativa è più elevata tra gli stranieri, che non tra gli italiani , soprattutto tra i bengalesi, gli albanesi, i romeni, gli egiziani e gli ecuadoregni, che sono, dunque, i gruppi nazionali caratterizza ti da un maggiore protagonismo della classe di età in esame” scrivono gli studiosi.
Tra gli stranieri, che costituiscono un terzo del totale degli imprenditori trentenni di Milano e provincia, i principali Paesi di provenienza sono Egitto, Cina, Romania e Bangladesh. In merito al settore di attività, gli ambiti in cui la presenza straniera è particolarmente visibile sono i servizi alle imprese e le costruzioni, come pure il commercio al dettaglio e i servizi di alloggio e ristorazione.
Il rapporto parla di un fenomeno di “progressiva etnicizzazione che, favorita da basse barriere (finanziarie, amministrative, giuridiche) all’ingresso, si accompagna ad un altrettanto evidente specializzazione etnica: di egiziani, romeni, albanesi, ma anche pakistani e tunisini nelle costruzioni; di bengalesi, ecuadoregni e brasiliani nel commercio al dettaglio; di filippini e cingalesi nei servizi alle imprese ” .
I trentenni stranieri, con i dovuti distinguo, mostrano di saperci fare : “Le imprese individuali straniere presentano una maggiore capacità di tenuta rispetto a quelle italiane , siano esse a titolarità maschile oppure femminile – proseguono i due studiosi Più nel dettaglio dei Paesi di origine, la probabilità di sopravvivenza è più elevata per le imprese di trentenni filippini e peruviani, mentre valori più bassi di quelli registrati tra le imprese a titolarità italiana si riscontrano solamente tra quelle a titolarità cinese ” .
Anche riguardo ai settori di attività le differenze sono percepibili: “Le imprese dei trentenni italiani mostrano una maggiore longevità nei comparti – quali ad esempio l’agricoltura, il trasporto e magazzinaggio, l’istruzione – in cui esse costituiscono la quota maggioritaria. Per contro, nei settori segnati dalla progressiva etnicizzazione – servizi di supporto alle imprese, costruzioni, commercio al dettaglio, servizi di alloggio e ristorazione – sono proprio le imprese straniere a presentare tempi di sopravvivenza più alti ” .
I motivi? “ È difficile spiegare, allo stato attuale , le ragioni della maggiore tenuta delle imprese immigrate. Non vi sono, infatti, studi al riguardo – convengono gli autori – È possibile ipotizzare, però, che essendo le imprese a titolarità straniera attive soprattutto in comparti ad elevata intensità di lavoro e a basso contenuto tecnologico, i margini di profitto che esse riescono a garantire sono nel complesso contenuti. Il che potrebbe spiegare il progressivo abbandono di questi ambiti da parte degli imprenditori italiani, nonché la minore sopravvivenza delle imprese e attività professionali che essi avviano ”.