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Libia. Medici senza frontiere: “In Ue negati i diritti ai civili in fuga”

Le testimonianze dei profughi raccolte in Italia e Tunisia


Roma, 1 luglio 2011 – Mentre i combattimenti continuano a spingere i civili a fuggire dalla Libia, Medici senza frontiere (Msf) chiede a tutti gli Stati coinvolti una risposta umanitaria piu’ forte e una protezione efficace per le persone in fuga dal conflitto.

Invocando la lotta contro ‘l’immigrazione illegale’, secondo l’organizzazione umanitaria gli Stati europei corrono il rischio di negare la protezione e il trattamento umano di cui hanno bisogno le persone in fuga, condannandole ad una situazione di incertezza che aumenta la loro sofferenza.

“L’afflusso di migranti che sbarcano sulle coste italiane – ricorda l’associazione – non costituisce ‘immigrazione illegale’, ma una fuga per la sopravvivenza, la salvezza e la protezione”. Msf ha raccolto testimonianze che documentano le conseguenze delle scarse condizioni di accoglienza e l’insufficiente protezione fornita nei paesi in cui i civili sono arrivati in cerca della propria salvezza. Piu’ di 600 mila migranti hanno attraversato i confini libici dall’inizio della guerra. Se molti sono gia’ stati rimpatriati ai loro paesi di origine, ancora in migliaia sono bloccati e continuano ad arrivare nelle strutture di transito in Tunisia, Egitto, Italia e Niger.

Nel campo di Shousha in Tunisia, circa 4.000 persone – soprattutto dell’Africa sub-sahariana – non possono essere rimpatriate, principalmente a causa della situazione di pericolo nei paesi di origine. Nel frattempo, 18 mila persone sono approdate sulle coste italiane, rischiando la vita a bordo di imbarcazioni inadeguate e sovraffollate per fuggire dalla guerra. Considerando che la loro liberta’ di movimento e’ rigidamente limitata, la collocazione dei migranti in fuga nei campi transitori e di accoglienza “equivale a una detenzione”, denuncia Msf.

“Il processo di determinazione di chi ha diritto a ricevere asilo e’ estremamente lento e molte persone sono disperate all’idea di passare mesi o addirittura anni nei centri”, dichiara Francesca Zuccaro, capo missione dei progetti di Msf per l’immigrazione in Italia. “Non avendo nessuna prospettiva, dozzine di persone hanno lasciato il campo nei giorni scorsi, pronte a rischiare ancora una volta la loro vita in cerca di un futuro migliore. Questo ci preoccupa molto”, spiega Mike Bates, capo missione di Msf in Tunisia.

Tra le testimonianze raccolte da Msf quella del 42enne Abdoul. “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo – racconta – Sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto ricevere i documenti ma non e’ successo nulla. Il tempo passa e io non so nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e puo’ sopravvivere senza di me”. Eppure il viaggio e’ spesso una scelta obbligata.

Come racconta Missy, 27 anni, anche lei a Mineo come Abdoul. “In Libia le cose andavano bene – ricorda la donna – Lavoravo come donna delle pulizie e avevo uno stipendio fino a quando non e’ scoppiata la guerra. Da quel momento la situazione e’ diventata terribile. Abbiamo deciso di abbandonare il paese con la barca. Non si poteva nemmeno camminare per strada perche’ uomini armati ti sparavano. Rimanere la’ significava rischiare la vita. Siamo dovuti partire”. Msf ricorda a tutte le parti coinvolte nel conflitto e ai paesi vicini le proprie responsabilita’, nel rispetto delle leggi internazionali, di tenere aperte le frontiere, offrire protezione a chi fugge dalla Libia e assicurare che le pessime condizioni di accoglienza e la mancanza di protezione possano impedire a rifugiati e richiedenti asilo di cercare una via di salvezza.

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