La storia di una docente universitaria ucraina, venuta in Italia a fare l’assistente familiare per un futuro migliore
A gennaio, nelle librerie dell’Ucraina è uscito il suo ultimo romanzo, “Strada di donna”, che racconta la vita di cinque ucraine immigrate in Italia. Ha già venduto oltre duemila copie ed è stata ordinata la ristampa. Le circa trecento pagine del volume hanno anche attirato l’attenzione di una casa cinematografica, interessata a farne un film.
Un libro, che come gli altri a cui Lidia ha dato vita (sei destinati ai più piccoli e tre alla sua materia di studio, la psicologia), è stato scritto quasi a lume di candela, quando alla fine della giornata lavorativa rimane un po’ di tempo da dedicare a se stessi. “Non ho giorni liberi – racconta Lidia – ma sono capitata in una famiglia generosa e buona, che mi ha dato la possibilità di coltivare la mia passione per la scrittura, mettendomi a disposizione un computer”.
Lidia Zabozhko ha alle spalle una vita travagliata. Insegna lingua ucraina e psicologia in un’università di Kiev, per un periodo è anche vice rettore dell’ateneo, quando si trova a scontrarsi con un problema dopo l’altro. La sua banca fallisce facendole perdere i risparmi di una vita. È un periodo duro per l’economia in Ucraina e per nove mesi si troverà a non ricevere le stipendio. Il peggio arriva quando suo marito si ammala e, non molto più tardi, viene a mancare lasciandola sola con i loro figli.
“Di fronte a tutte queste disgrazie e alla vita di stenti che mi trovavo a dover affrontare – spiega Lidia – mi sono decisa ad andare via dal mio paese per cercare la fortuna in Italia. Lo fanno tante mie connazionali, lasciano da parte l’orgoglio, il bagaglio culturale e i legami familiari, e vengono qui per occuparsi di persone anziane, portando con se solo il coraggio, la speranza e la nostalgia”.
Lidia e in Italia da sei anni ed è riuscita a guadagnarsi l’affetto della famiglia in cui lavora come assistente familiare. “Sono stati sempre molto carini – dice – e sono diventati come parenti per me”. Ma poi c’è la famiglia vera, i figli e il nipotino che la aspettano in Ucraina (dove intende tornare tra due, tre anni) e ai quali manda i risparmi. È soprattutto per loro che sta facendo la badante qui, per far avere loro una vita migliore di quella che ha potuto avere lei stessa.
Racconta Lidia: “L’ultima volta che sono stata a Kiev ho visto una bambina che, guardando un banco di frutta con le banane, diceva alla nonna ‘Nonna, fammele solo vedere da vicino, lo so che non ce le possiamo permettere’. È per non sentire frasi del genere dai loro figli che le ucraine si sacrificano”.
Il romanzo di Lidia racconta le storie di cinque di quelle donne “sante” – come lei le chiama –, unite dal comune destino di migranti e dalla “professione” di badante in Italia. Hanno dai 37 ai 50 anni. Un’economista, una professoressa di musica e una di lingue straniere, un’infermiera e un’operaia: destini simili e lontani, vite comuni, che non fanno scalpore, ma degne di essere raccontate. Se non altro per omaggiare tutte quelle donne che, come loro, trasudano speranza e vivono di fotografie, quelle di loro cari.
Antonia Ilinova