Tito Boeri sostiene che non servano nuove leggi, basterebbe eliminare, “senza grandi proclami”, qualche ostacolo burocratico. Ma può essere una circolare a dire chi sono oggi gli italiani?
Roma – 23 agosto 2013 – “Si respira aria di elezioni. E come in un consumato copione si torna a parlare a sproposito di immigrazione” scrive oggi su Repubblica Tito Boeri, prendendo le mosse dalla proposta di far pagare ai Paesi d’origine le spese per i detenuti stranieri balzata ieri fuori dal cilindro di Angelino Alfano.
In una disamina degli sproloqui sull’ immigrazione, Boeri lancia alcune proposte per cambiare le cose. E alla fine dice la sua su uno dei temi ultimamente più dibattuti.
“Bisognerebbe rimuovere – scrive – una serie di ostacoli burocratici all’acquisizione della cittadinanza, ad esempio assimilando a questi fini gli anni di residenza legale a quelli di iscrizione all’anagrafe. È possibile farlo anche agendo sui soli provvedimenti attuativi. Non c’è bisogno di grandi proclami e di nuove leggi con il loro inevitabile strascico di demagogia e di polemiche, alla ricerca di un qualche dividendo elettorale”.
Mettendola così, rischia però di essere più populista dei populisti che vorrebbe criticare. Perché sposa la tesi che la politica fa teatrino da mesi, anzi da anni, su una questione di lana caprina, perdendo tempo su un problema che ci vorrebbe poco a superare: un regolamento, una circolare, perché non un tratto di penna a sfera o una semplice telefonata? Purtroppo non è così e un milione di figli di immigrati lo sa bene.
I piccoli passi avanti, i piccoli aggiustamenti, sono buone notizie. Prendiamo però ad esempio quelli arrivati con il Decreto del Fare, cioè la possibilità di presentare documenti alternativi al certificato di residenza per dimostrare che si è nati e cresciuti in Italia quando si chiede la cittadinanza a 18 anni e l’obbligo per i Comuni di informare con una lettera le seconde generazioni. Certo miglioreranno le cose per tanti ragazzi e ragazze, elimineranno qualche ostacolo, ma non cambieranno certo la loro vita.
E invece è proprio di questo che dobbiamo parlare. Come possiamo cambiare la vita di un milione di bambini e adolescenti, italiani di fatto, ma stranieri per legge? Come cancellare la discriminazione vissuta da così tanti figli del nostro Paese? Il punto non è rendere un po’ più agevole un percorso, ma definire un nuovo punto di partenza, un nuovo arrivo. Cambiare, insomma, il percorso stesso. E per questo serve una riforma vera.
Boeri forse se ne dorrà, ma la linea che in materia di cittadinanza basti un pò di sana semplificazione è la stessa propugnata più volte dal leghista Roberto Maroni. Ed è stato Beppe Grillo, che non ha mai chiarito certe sue ambiguità “leghiste”, a sostenere che il dibattito in corso fosse solo “un’arma di distrazione di massa”, roba molto simile, in fin dei conti, alla demagogia di cui sente puzza l’economista.
Chi scrive invece crede che sulla riforma della cittadinanza servano i “grandi proclami”, perché è in gioco una cosa enorme: cosa vuol dire, oggi, essere italiani. Serve il confronto, probabilmente anche lo scontro se è utile a delineare più nettamente le posizioni. Purchè il Parlamento faccia seguire il prima possibile alle tante parole i fatti.
Di una nuova legge c’è bisogno eccome, anche a costo di ingoiare demagogia e polemiche, anche se genererà dividendi elettorali, come del resto ogni mossa della politica in una democrazia. Senza giochi al ribasso. C’è da portare a casa il risultato e questa è una finale di coppa del mondo, non una partitella nel campetto parrocchiale.
Elvio Pasca