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Matrimoni forzati, un problema anche italiano

Mancano dati precisi sul fenomeno, ma cresce con l’immigrazione e lo subiscono anche le seconde generazioni. Salavia: “Paura del diverso e chiusura nelle tradizioni”. Ahmed: “Cittadinanza ai figli degli immigrati aiuterebbe molto”

Roma – 4 dicembre 2012 – I matrimoni forzati sono anche un problema italiano, perché le migrazioni hanno portato qui culture dove sono ancora le famiglie d’origine a decidere al posto degli sposi, spesso quando questi sono ancora dei bambini.

Succede così che ragazze o ragazzi di “seconda generazione”, dopo la scuola fatta in Italia vengano rimandati in patria a sposare uno sconosciuto o una sconosciuta. Oppure che chi si è sposato secondo il volere dei genitori si renda conto di essere stato vittima di un’imposizione ingiusta solo una volta che arriva in Italia e si rende conto che esiste un modo diverso di formarsi una famiglia.

Storie come queste arrivano sempre più spesso agli sportelli della Uil, che ha organizzato ieri a Roma una giornata di studio dal titolo ”Questo matrimonio non s’ha da fare”. “In Italia non abbiamo il polso della situazione, non esiste un censimento nazionale, e se ne parla solo quando c’è qualche drammatico fatto di cronaca. Si tratta di una realtà che, invece, va indagata e a cui va prestata la giusta attenzione” sottolinea Rossella Giangrazi della segreteria regionale della Uil, responsabile del coordinamento Pari opportunità di Roma e del Lazio.

Nel corso della giornata sono state presentate le esperienze di sei donne e tre uomini provenienti da paesi dove il matrimonio per tradizione viene combinato: Pakistan, Bangladesh, Iran, Etiopia,, Eritrea, Mali, Giordania e Libano.

“L’idea di approfondire il fenomeno ci è venuta dal contatto diretto delle donne straniere residenti a Roma, che provengono dal sub continente indiano o dai paesi musulmani dove è diffusa la pratica dei matrimoni combinati. Pensiamo infatti che comprendere questa realtà può favorire la reale integrazione, soprattutto delle future generazione” dice Pilar Salavia, del dipartimento delle politiche migratorie della Uil .

“Le storie delle donne che hanno subito un matrimonio forzato sono le più violente. In generale si può dire che il fenomeno del matrimonio combinato ha radici profonde che con la migrazione non si estirpano – aggiunge Salavia – anche se influisce il livello di istruzione. Di certo in quelli che si oppongono alla contaminazione delle loro famiglie c’è una paura del diverso e una ricerca a chiudersi nelle tradizioni, piuttosto che aprirsi al nuovo”.

“I numeri veri non si conoscono e sono fuorvianti i dati riportati da alcuni media ma ciò non esclude che il fenomeno esista e sia in espansione” sottolinea Ejaz Ahmad, direttore del giornale di pakistani in Italia Azad.

“Sicuramente – suggerisce Ahmad – concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia risolverebbe di molto il problema dei matrimoni forzati. Le ragazze costrette al matrimonio dai genitori nel loro paese d’origine potrebbe chiedere aiuto all’ambasciata italiana. Non solo, ma siccome questa pratica avviene di solito in età scolare, bisogna aumentare l’attenzione e monitorare i casi sospetti. Si potrebbe creare uno sportello, gestito da psicologi e personale formativo, rivolto al disagio giovanile tout court”.

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