Roma – 17 febbraio 2014 – Caryn Franks, sul settimanale inglese Sunday Times, la spiega così: “L’industria della moda è istituzionalmente razzista perché la maggior parte di chi ci lavora è bianco e quindi ingaggia il proprio simile, senza farsi domande”.
Franks è cofondatrice di All Walks, associazione che chiede di portare sulle passerelle inglesi donne di ogni “taglia, età e colore della pelle”. Una battaglia finora persa, se anche il British Fashion Council, che riunisce le grandi firme della moda britannica, ha chiesto ai suoi affiliati sfilate più multietniche.
La polemica sta scuotendo in questi giorni la London Fashion Week. E se gli esempi virtuosi fanno notizia (nove modelle su dieci della sfilata di Tom Ford, nella sfilata di venerdì scorso, non erano bianche), rimane il fatto che firme come Mulberry, Paul Smith, John Roca e IW Anderson,nelle scorse edizioni, non avevano modelle nere.
Il Sunday Times racconta del licenziamento di un noto manager della moda reo di volere più modelle nere. E riporta la testimonianza di Betty Adewole, modella nigeriana ritenuta l'erede di Naomi Campbell: ''Ero ad un casting e una stilista si è alzata. Ero l'unica ragazza nera. Lei ha detto alla sua assistente: 'non voglio quelle nere, devi dirle di andarsene”.
Lo scorso settembre la stessa Naomi Campbell, insieme alla collega Iman e all’attivista Bethann Hardison, aveva denunciato questa situazione. “Non importa l’intenzione il risultato è razzismo. Che sia una decisione del designer, stilista o casting director, quella di utilizzare praticamente tutte modelle bianche, rivela un tratto che è sconveniente per la società moderna che non può più essere accettato”.