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Mr Facebook: “Apriamo agli immigrati, sono la chiave dell’economia della conoscenza”

Le riflessioni di Mark Zuckerberg: “Le risorse più importanti sono persone di talento che educhiamo e attraiamo nel nostro Paese. Oggi le cacciamo. I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island, io ho creato un’azienda”

Roma – 12 aprile 2013 – “Siamo una nazione di immigrati, ma abbiamo una strana politica dell’immigrazione. Una politica che non è adatta al  mondo di oggi”.

Lo scrive Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, in un editoriale pubblicato ieri dal Washington Post. L’occasione per lanciare FWD.us, un gruppo di pressione politica creato insieme ad altri leader della comunità tecnologica che ha tra i suoi primi obiettivi la riforma dell’immigrazione, interventi sul sistema scolastico e investimenti per la ricerca.

“L’economia di oggi – sottolinea– è basata soprattutto sulla conoscenza e sulle idee. Le risorse più importanti sono persone di talento che educhiamo e attraiamo nel nostro Paese. Un’economia della conoscenza può crescere ulteriormente, creare lavori migliori e garantire una qualità della vita più alta per tutti nella nostra nazione”.

Per guidare il mondo in questa nuova economica, gli Usa hanno bisogno delle “persone più talentuose e operose”. “Dobbiamo formare e attrarre i migliori” scrive Zuckerberg.

E chiede: “Perché cacciamo il 40% degli studenti stranieri diplomati in matematica e scienze dopo averli formati? Perché offriamo così pochi visti per lavoratori qualificati? Perché non permettiamo agli imprenditori di trasferirsi qui se hanno i mezzi per avviare un’azienda che creerà nuovi lavori?”.

“I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island”, ricorda il numero uno di Facebook. “I miei nonni erano un postino e un poliziotti. I miei genitori sono dottori. Io ho creato un’azienda. Niente di tutto questo sarebbe successo senza una politica dell’immigrazione aperta, un grande sistema educativo e la comunità scientifica leader mondiale che ha creato Internet”.

Leggi:
Facebook’s Mark Zuckerberg: Immigration and the knowledge economy (Washington Post)
 

EP

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