“Gli immigrati sono di sinistra”, “No, di destra”. Ma intanto i politici non parlano mai agli immigrati Roma – 26 marzo 2010 – Tre romeni candidati come consiglieri comunali con liste di destra, a Venezia, con Renato Brunetta. Altri due, su due liste di sinistra, a Tivoli e Termoli. Ma non dovevano essere tutti di sinistra? Qual’è l’equazione giusta per gli immigrati in politica, immigrato uguale sinistra o, secondo nuove rivelazioni, immigrato uguale destra?
“La sinistra vorrebbe frontiere spalancate, per cambiare la bilancia elettorale a suo favore attraverso gli immigrati”. Parole pronunciate una settimana fa a Napoli dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Non succede solo in Italia. Lo stereotipo dell’immigrato che vota a sinistra c’è anche in Inghilterra. I Labour sono sotto il tiro dei Con, accusati di aver aperto i confini agli immigrati con l’intenzione segreta – si parla di ”complotto” – di aumentare i votanti a sinistra.
Dovunque vai, la preferenza degli immigrati è scontata. L’altro giorno, la fondazione ISMU ha smentito, o meglio fatto una correzione: gli immigrati europei in Italia, romeni in testa, preferiscono la destra, quelli nord africani e i clandestini, la sinistra.
Un compatto gruppo sociale “immigrati” non esiste. Parliamo di milioni di persone con origini, educazione, visioni, capacità e desideri che più diversi non possono essere. Ognuno avrà il proprio sistema di giudizio della realtà e di valutare e assimilare i tanti messaggi politici che ci circondano giorno e notte, da tv, radio, stampa, internet.
È riduttivo dire che i cittadini dell’Est sanno cos’è il comunismo vissuto dal vivo e preferiscono la destra, quando la decisione di voto è un processo assai complesso. Ma quale comunismo? Qualcuno guarda Santoro, qualcuno è affascinato da Emilio Fede, e cosi, come negli esseri normali nei tempi della tv, si forma la convinzione politica. Perche dobbiamo votare in blocco come “immigrati” o come etnia?
Si parla quasi in modo filosofico sul dare o non dare il voto agli immigrati. Pagano le tasse, sì, ma vanno via dopo alcuni anni, non rimangono per sempre in Italia. I partiti, casomai, chiedono per loro i voti degli immigrati, senza pensare di fare posto ai candidati stranieri. Se votano uno straniero, noi che ci guadagniamo?
C’è il principio “No taxation without representation”. Non dovrebbe interessare tanto che parte votano gli stranieri, ma se hanno i loro rappresentanti nelle sedi di decisione politica, locale e centrale. Pagano le tasse e devono delegare, eleggere chi gestisce i loro soldi. Non importa quanto rimangono, un anno o tutta la vita in Italia. D’altronde, gli italiani all’estero non pagano tasse in Italia, ma votano.
Le elezioni Regionali, in un Paese con quasi 5 milioni di stranieri, che producono quasi il 9,7% del PIL, non parlano straniero. Le eccezioni sono cosi poche che non contano.
È vero che pochi, solo quelli naturalizzati, hanno il diritto di voto, ma qualcuno deve pur pensare a rappresentarli, tutti, anche quelli che non votano. A parte i soliti discorsi – cittadinanza breve o lunga, fuori tutti o “qui comandano loro” – nessuno ha parlato, in questa lunga campagna elettorale, a “loro”, agli immigrati, come a delle persone normali, toccando gli argomenti specifici, con la gentilezza con la quale si parla agli elettori italiani.
Non dico di fare come il Papa, che saluta in tutte le lingue del mondo i pellegrini in piazza San Pietro, ma un po’ di attenzione, farli sentire partecipi, questi immigrati che vivono in Italia, votanti o no. Un minimo di par condicio anche per loro.
direttore Gazeta Românească