Roma – 22 dicembre 2011 – “Lui non è più mio padre e io non sono più pakistana: mi sento soltanto una ragazza italiana”. È con queste parole che ieri Nosheen But ha accolto la condanna all’ergastolo del padre Hamad Kahn, l’uomo che in nome dell’”onore” ha distrutto la sua famiglia.
Nosheen è una ventenne di origine pakistana che nel 2004 ha raggiunto la famiglia a Novi, in provincia di Modena. Voleva vivere come i coetanei italiani, si vestiva come i suoi amici, usciva con loro, ma questo per il padre era una vergogna. Una tensione sfociata in tragedia la sera del 3 ottobre del 2010, quando Hamad Kahn le annunciò che aveva combinato per lei un matrimonio con uno sconosciuto connazionale.
Alle proteste di Nosheen, Hamad e il figlio Umair risposero con la violenza. Insieme assalirono la ragazza, ma quando la madre Shannaz Begum cercò di proteggerla, Hamad uccise la moglie colpendola ripetutamente con un mattone, mentre Umair (che è stato condannato a venti anni di carcere) massacrava la sorella a sprangate, lasciandola a terra in coma.
Dopo le cure in ospedale e un periodo in una comunità protetta , Nosheen oggi studia da modista e intanto, per mantenersi assiste un’anziana. Il futuro? “Io vorrei solo finire la scuola e poi lavorare. Voglio impegnarmi affinchè non succeda ad altri quello che è capitato a me” dice.
Souad Sbai, deputata del Pdl e presidente dell’Acmid Donna, ha assistito Nosheen But durante il processo, si è costitutita parte civile con la sua associazione e sosterrà la ragazza nei suoi progetti e nel desiderio di diventare italiana: “Sarebbe bello – dice- che il Presidente della Repubblica le concedesse la cittadinanza”.
Aderisci all’appello: “Cittadinanza italiana per Nosheen But”
EP