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Nove anni dalla tragedia del 3 ottobre dove morirono 368 persone e ancora l’Italia non sa come aiutare i migranti

Roma, 3 ottobre 2022 – A nove anni dalla tragedia avvenuta davanti alle coste di Lampedusa, in mare si continua a morire. Era il 3 ottobre del 2013 quando il peschereccio su cui viaggiavano stipati in più di 500 migranti si è drammaticamente ribaltando, causando la morte di 368 persone. Nove erano bambini. E nonostante questo, mentre l’immagine dei corpi distesi uno di fianco all’altro ancora è lucida nella memoria dei più, le acque del Mediterraneo costringono ancora a contare i cadaveri. Solo nel 2022, infatti, sono almeno 1.400 le persone che hanno perso la vita o sono scomparse durante l’attraversata. Dal 2013, invece, se ne contano almeno 25 mila.

Migranti, Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza

E’ nata così, in Italia, la Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza. Esattamente dopo quella tragedia, una tragedia che ancora oggi non si può dire chiusa. Perchè anche da morte l’Italia riesce a mancare di rispetto a quelle 368 persone che state sepolte in giro per Agrigento, ma senza nome o una foto per identificarli. Sui loculi si leggono solamente dei numeri. E così, il nostro Paese si è preso la libertà di destinare altro dolore alle famiglie, ai figli dei defunti che nemmeno hanno il diritto di sapere dove sono stati seppelliti i propri cari.

Da quel drammatico giorno, tra l’altro, di sicuro non si può dire che l’Italia abbia imparato qualcosa. Dal 2013 a oggi si contano almeno 25 mila persone morte o scomparse durante l’attraversata di quello che è diventato la più grande fossa comune dell’Occidente: il Mediterraneo. Di queste, 1.400 solamente nel 2022 secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, dall’Agenzia Onu per i rifugiati e dall’Unicef oggi a Lampedusa in occasione della Giornata della memoria e dell’accoglienza. “Voi conoscete i numeri, si parla di 368. Noi li conoscevamo con nome e cognome, con volto, sogni e obiettivi“, dice Adal, uno dei sopravvissuti”, ha commentato poi Adal, uno dei sopravvissuti. “È inaccettabile che bambini, donne e uomini, persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, continuino a perdere la vita nel Mediterraneo.

L’Europa deve dotarsi di un meccanismo più prevedibile e efficiente guidato dagli Stati per la ricerca e il salvataggio in mare e fare in modo che chi arriva in cerca di protezione possa trovarla e ricostruire la propria vita in dignità”, ha aggiunto inoltre Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre.

L’appello della Chiesa: “Non considerate chi arriva dal mare un pericolo”

“Chiediamo di non vedere, nei migranti che arrivano, dei pericoli. Non sono solo numeri, ma persone. Coloro che sono in fuga da luoghi di guerra, da luoghi dove non sono liberi hanno il diritto di essere accolti”, ha sottolineato poi Giuseppe Cumbo, vicario Generale dell’Arcidiocesi di Agrigento e quindi voce della Chiesa. Non solo accolti, ma anche salvati. “Serve un piano condiviso di salvataggio in mare di persone in fuga e che hanno diritto a una protezione internazionale. Ogni morto in mare è un atto di ingiustizia e di inciviltà. Non si possono lasciare sole le Capitanerie di porto e le navi delle Ong nell’azione di salvare in mare chi fugge. Non bastano piani per fermare. Occorrono piani per salvare. La democrazia in Europa è macchiata da ogni ritardo nel presidiare il salvataggio delle persone nel Mediterraneo”, hanno aggiunto dalla Fondazione Migrantes.

La salvaguardia della vita umana è prioritaria rispetto a tutte le altre considerazioni afferenti la gestione del fenomeno migratorio. E il soccorso dei migranti in difficoltà è un principio fondamentale di umanità e solidarietà, e a tal fine  essere supportato e promosso a tal fine sia il lavoro degli Stati sia il prezioso contributo delle Ong”, ha dichiarato infine Laurence Hart, direttore dell’Ufficio di coordinamento Oim per il Mediterraneo.

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