“Un esercito di braccia in continuo movimento, seguito dal passo avido dei caporali”. Inchiesta di Terre di Mezzo
Roma – 17 settembre 2010- L’Italia ai raggi x mostra un viso non proprio sano, soprattutto quando si diagnostica la piaga del lavoro nero e dello sfruttamento degli immigrati irregolari. A tracciarne i disagi è un’inchiesta di “Terre di Mezzo” che questo mese apre con un titolo forte e d’impatto: “La repubblica degli schiavisti”.
L’estate è la stagione in cui è richiesta maggiormente la manodopera nei campi e gli irregolari diventano una forza-lavoro indispensabile per portare a termine le giornate lavorative. Ma chi gestisce questi lavoratori, chi li sceglie e chi li porta sui campi? Se da un lato ci sono i braccianti che migrano per l’Italia dei raccolti, dall’altro ci sono i “caporali” che li seguono costantemente.
Sono loro le figure d’intermediazione in questo panorama fatto di lavoro a nero, truffe, minacce ed estorsioni. Sono loro che fanno da catalizzatori tra i lavoratori e i proprietari terrieri, sono loro che la mattina scelgono le braccia da portare ai campi e mantengono rapporti fiduciari con gli imprenditori locali, seguendo costantemente il flusso migratorio dei braccianti.
Molto spesso sono immigrati anche loro ma che non si fanno scrupolo di sfruttare i loro connazionali, come ad esempio dimostrano le indagini della procura di Palmi che il 26 aprile scorso ha portato all’arresto di 22 imprenditori e 9 caporali, oltre al sequestro delle imprese, aziende e terreni per un totale di 10 milioni di euro.
“Il ritorno ai lavori forzati” non è un tema relegato solo ai raccoglitori nell’agricoltura , ma è una piaga diffusa anche nei cantieri. Nel 2008, racconta ancora Terre di Mezzo, tre moldavi hanno denunciato la Italedil di Reggio Emilia: "Erano stati assunti regolarmente ma le spese per il viaggio e i documenti venivano scalate dagli stipendi e alla scadenza del permesso di soggiorno hanno chiesto loro altri soldi per il rinnovo".
Trovare però i lavoratori sul posto è difficilissimo, proprio perché gli imprenditori fanno leva sulla paura degli immigrati di essere arrestati, perdere i documenti o non essere più pagati che fa sì che siano molto attenti a non farsi “beccare”.
Per tutti loro, oltre allo sfruttamento sul posto di lavoro si aggiunge la spesa per il viaggio dal loro paese d’origine fino in Italia con la promessa di ottenere un visto alla “modica cifra di 5-10 mila euro”. Soldi che saranno scalati dallo stipendio negli anni ma con tassi d’interessi altissimi.
Per questo sindacati e associazioni chiedono a gran voce di equiparare il caporalato alla tratta degli esseri umani e farlo diventare un reato penale, per battere così un “delitto di tipo associativo” che lega insieme imprenditori, organizzazione criminali e caporali.
Marco Iorio
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