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Oim: “Un permesso agli sfruttati che denunciano i datori di lavoro”

Le proposte dell’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni per il recepimento della direttiva  2009/52/CE. “Inserire tra gli indici di sfruttamento anche le retribuzioni, orari e riposi difformi dal contratto collettivo. Ma serve anche una regolarizzazione”

Roma, 22 giugno 2012 – Offrire ai migranti la possibilità accedere alla giustizia e di denunciare i datori di lavoro che li sfruttano prevedendo una protezione umanitaria “ad hoc”.

Questo uno dei principi che, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), dovrebbero caratterizzare  il decreto legislativo approvato in via preliminare dal governo per recepire la Direttiva europea (la 2009/52/CE) che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano migranti irregolari. Il testo, dopo il parere positivo della Camera e del Senato, che ha chiesto di accompagnarlo a una regolarizzazione, è tornato sul tavolo dell’esecutivo per l’approvazione definitiva.

“Il recepimento della Direttiva europea”, spiega José Angel Oropeza, direttore dell’Ufficio di coordinamento OIM per il Mediterraneo, “porterà novità estremamente importanti nel panorama normativo italiano: la direttiva infatti configura una pluralità di sanzioni di carattere, finanziario, amministrativo e penale a carico dei datori di lavoro che renderà il sistema sanzionatorio efficace, proporzionato e dissuasivo”.

Se però introdurre norme sanzionatorie nei confronti degli sfruttatori è sicuramente importante, occorre al contempo prevedere anche il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario convertibile per i migranti sfruttati che decidono di denunciare i loro aguzzini”, spiega Oropeza. “Infatti, allo stato attuale, qualora un migrante dovesse decidere di denunciare lo sfruttatore, non solo non sarebbe protetto contro eventuali ritorsioni, ma dovrebbe essere addirittura denunciato dalle autorità a causa del reato di immigrazione clandestina”

Nell’accogliere con favore l’imminente innovazione legislativa, l’OIM suggerisce al Governo di tenere in considerazione tutti gli ‘indici di sfuttamento’ previsti dal nuovo reato di “caporalato” introdotto nel 2011. Tali indici includono: la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali, la violazione della normativa relativa all’orario di lavoro e al riposo settimanale, la violazione della norme di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, la sottoposizione a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Con il riferimento alla retribuzione, rientrerebbero tra le fila degli “sfruttati” anche migliaia di immigrati irregolari sottopagati da imprese e famiglie italiane. Si aprirebbe però anche la strada a denunce di massa dei datori di lavoro da parte degli stranieri che avrebbero così modo di mettersi in tasca un permesso di soggiorno.

L’Organizzazione suggerisce quindi al Governo di prevedere, anche se non esplicitamente richiesto dalla Direttiva, un periodo di “riflessione” o di “ravvedimento” per il datore di lavoro che, posto davanti alle conseguenze penali delle nuove norme, ritenga più conveniente regolarizzare la situazione legale del migrante irregolare. È la stessa indicazione contenuta nel parere licenziato da Palazzo Madama.

L’OIM sottolinea inoltre l’importanza di prevedere una chiara definizione del “datore di lavoro” e di chiarire che non si tratta soltanto dell’ “intermediario” – il cosiddetto “caporale” – ma di tutti quanti traggano un ingiusto profitto dallo sfruttamento del lavoratore. Occorrerebbe inoltre anche garantire che sindacati, associazioni di tutela, e gli stessi ispettori del lavoro o le forze dell’ordine, una volta rilevata la situazione di sfruttamento, possano assistere il migrante nella presentazione della denuncia o intervenire d’ufficio.

“Negli scorsi anni, come OIM, abbiamo avuto l’occasione di scoprire e denunciare vari casi di sfruttamento: migranti che in totale assenza delle minime condizioni igieniche, di sicurezza, e senza nessun tipo di tutela legale, erano costretti a lavorare per 12 ore al giorno o anche più”, racconta Oropeza. “Spesso per pochissimi euro ma a volte anche senza aver nessuna garanzia di pagamento da parte del datore di lavoro”.

“Si tratta di una realtà purtroppo ancora abbastanza diffusa in varie parte della penisola, e in modo particolare nel settore agricolo. Ci auguriamo che l’introduzione della nuova normativa possa dare inizio a una vera e propria rivoluzione culturale e che gli episodi di sfruttamento lavorativo in Italia possano finalmente aver termine”, conclude Oropeza.

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