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Pape Diaw (Sel): “Modificare la Bossi-Fini? No. Va proprio buttata via…”

Capolista in Veneto, vuole battersi anche per riforma della cittadinanza, diritto di voto e libertà religiosa. “Il razzismo si combatte cambiando le menti”

Roma – 17 gennaio 2013 –  Ci sono cose che non puoi aggiustare, vanno rottamate. Secondo Pape Diaw è questo il destino della legge Bossi-Fini sull’immigrazione, e cercherà di affrettarlo una volta arrivato in Parlamento.

Nato in Senegal nel 1960, una vita spesa nella lotta al razzismo e nel dar voce agli immigrati, Diaw è capolista al Senato in Veneto per Sinistra Ecologia e Libertà. Insieme a lui, tra i nuovi italiani inseriti in posizioni considerate abbastanza “sicure” dal partito di Vendola, anche Mercedes Frias, ex parlamentare di origini dominicane e la mediatrice culturale Farhia  Aidid Aden, nata in Somalia.

“Respiro politica da quando ero adolescente. Il mio babbo, in Senegal, faceva il sindacalista” racconta a Stranieriinitalia.it Pape Diaw. È in Italia dal 1979, quando arrivò all’università di Firenze: “Le mie prime battaglie furono per i diritti degli studenti stranieri. Poi è venuto l’impegno con il Coordinamento Antirazzista, quello nell’associazionismo senegalese in Toscana e gli anni da consigliere comunale a Firenze. Ho sempre cercato di dare voce a quelli che non ne hanno, i deboli, gli immigrati”.  

Quali saranno i suoi primi obiettivi una volta arrivato in Parlamento?
"Innanzitutto, l’abolizione della Bossi-Fini, la legge più razzista che abbiamo. Non è riformabile, va proprio buttata via. E, naturalmente, la cittadinanza per i nati in Italia, un impegno non rimandabile. Mi piacerebbe discutere anche una legge sulla libertà religiosa. Questi sarebbero solo i primi passi per dare voce alle richieste di cinque milioni di immigrati".

Ma gli immigrati quanto seguono la politica italiana?
"C’è una minoranza che segue assiduamente ed è interessata a ciò che accade a livello nazionale. Tanti però, dopo aver visto come è andata la politica degli ultimi anni, sono sfiduciati. Come molti italiani credono che “i politici chiacchierano tanto, ma non pensano mai a noi”. Quindi si disinteressano, invece serve partecipazione".

Anche con il diritto di voto?
"Certo, anche con il diritto di voto. Ci hanno fatto  credere che è necessaria una modifica costituzionale, invece diversi giuristi dicono che basterebbe una legge ordinaria. Per gli immigrati vengono sempre fissati dei paletti. Chi lavora e paga le tasse è giusto che possa votare, e io non limiterei questo diritto alle amministrative, lo vorrei pieno, anche per le elezioni politiche".

A queste elezioni il Sel è alleato con il Pd, dopo il voto dovrò fare probabilmente i conti anche con le posizioni dei centristi. Crede che sarà facile trovare accordi sui temi dell’immigrazione?
"Le nostre posizioni e quelle del Pd su questo fronte sono già molto vicine. Qualche problema potremo averlo con Monti, che nella sua Agenda non ha parlato proprio di immigrazione. Dove li mette cinque milioni di cittadini che producono il 12% del Pil di questo Paese? Uno come lui, così attento all’economia, non può dimenticarli. Io credo nel dialogo, nella concertazione, per arrivare a un risultato e dare finalmente risposte importanti a così tante persone".

Come rappresentante dei senegalesi, lei è stato la voce della comunità in occasione della strage di Firenze. L’Italia è un Paese razzista?
"Io credo che anni di Berlusconi abbiano liberato ogni forma di fascismo. Un linguaggio violento che perdura nel tempo favorisce il razzismo e può portare anche a gesti terribili. In Toscana, dopo la strage,  ci siamo fermati a riflettere, ma a livello nazionale questo non è successo. Bisogna dare piena applicazione alla legge Mancino, ma alle pene contro il razzismo va accompagnata una politica culturale, sul territorio, per agire sulla mentalità".

A dicembre, in occasione del primo anniversario della strage,  ha lanciato un appello a Napolitano per la concessione della cittadinanza italiana ai tre superstiti. Come è finita?
"Ci sono state oltre quindicimila adesioni e nei prossimi giorni vorremmo portarle tutte al Quirinale. Io credo che dare la cittadinanza a Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng sarebbe importante per loro, li riempirebbe di onore, ma sarebbe anche un segnale di apertura da parte di questo Paese, un modo per riconoscere che quelle pallottole hanno colpito tutta l’Italia".

Elvio Pasca
 

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