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Il portale dell'immigrazione e degli immigrati in Italia

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PMI: SONO 165 MILA LE AZIENDE DI IMMIGRATI IN ITALIA =

      SPARISCE L’IMMAGINE DEL ‘VU CUMPRA”

      Roma, 24 feb. 2009 (Adnkronos) – Sono 165.000 le aziende degli
immigrati in Italia. Le attivita’ che svolgono sono le piu’ diverse:
agricoltori e allevatori di bestiame, anche se in agricoltura sono in
tutta Italia appena 2.500 gli imprenditori stranieri, in ragione degli
alti costi iniziali che comporta la rilevazione dei poderi. Come
risaputo, dopo l’edilizia che rimane il settore prevalente, gli
immigrati sono inseriti specialmente nel commercio: abbigliamento,
artigianato, articoli sportivi, cosmetici, settore alimentare, ma non
solo per la vendita di prodotti etnici, anche se questi ricordano agli
immigrati i paesi di origine e le loro tradizioni culinarie.

      Insomma chi e’ rimasto legato all’immagine stereotipata dei ”vu
cumpra”’, che dal Meridione si spostavano stagionalmente al Nord e
sulla riviera romagnola, deve oggi prendere atto che ormai si tratta
in prevalenza di titolari di negozi fissi, al dettaglio e spesso anche
all’ingrosso. I dati sono contenuti nel volume ‘Immigrati imprenditori
in Italia’ voluto dalla Fondazione Ethnoland, nata per promuovere
culturalmente ed economicamente la collettivita’ immigrata, che ha
realizzato la ricerca con il supporto dei redattori del ”Dossier
Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes” e il contributo di
strutture e organizzazioni che si occupano del fenomeno migratorio
secondo l’ottica imprenditoriale.

      Nella ristorazione i cibi etnici si alternano con prodotti
fusion, una via di mezzo tra la ”nostra” e la ”loro” cucina,
mentre altre volte vengono offerti solo i nostri piatti tipici. Tra i
servizi piu’ ricorrenti ricordiamo la lavanderia, la pasticceria, il
salone di estetica, il servizio di pulizia, la farmacia, l’agenzia di
viaggi, l’azienda dei trasporti e l’officina del fabbro, ma anche
attivita’ meno diffuse come lo studio grafico, l’agenzia di
traduzione, il centro di mediazione interculturale, l’associazione
culturale e, esigenza queste molto sentita dagli immigrati, i phone
center e i money transfer.

Non manca chi si occupa di procacciare affari
specialmente nel settore abitativo, che rimane tuttora uno dei piu’
complessi problemi sulla via dell’inserimento. E’ incipiente la voglia
di misurarsi anche in campi piu’ ”raffinati”, come piccole case di
moda, negozi di artigianato o laboratori odontotecnici.

      Nel volume si parla anche delle macellerie islamiche, che si
distinguono per la particolare maniera con cui vengono macellati gli
animali, tenendo percio’ conto delle prescrizioni contenute nel Corano
che coincidono, peraltro, con quelle alle quali si attengono gli ebrei
sulla base della Bibbia. Si tratta per lo piu’ di piccole aziende,
dove in un gran numero di casi lavora in maniera continuativa solo il
titolare, ma diventano sempre piu’ numerose quelle che occupano anche
altre persone: una dozzina, inclusi gli italiani, sono quelli che
lavorano per l’imprenditore turco che rifornisce il Kebab a Milano,
molti di piu’ quelli che lavorano nel laboratorio tessile del cinese
Lin a Prato, che gestisce sei marchi di abbigliamento, ha aperto una
filiale a Shangai con qualche centinaio di operai e si sta occupando
di favorire il nostro export in quel Paese. Anche a Napoli sono
diverse le iniziative di import-export con la Cina.

      Le imprese cooperative, poi, partono fin dall’inizio con un
certo di numero di persone associate: viene citato l’esempio di
”Ghanacoop”, che con la commercializzazione dei prodotti del posto
e’ riuscita a creare lavoro non solo in Italia ma anche Ghana

 Sono diversi i motivi che hanno spinto gli
immigrati alla scelta di natura imprenditoriale, che e’ ben lontana
dai toni assistenziali con i quali siamo soliti inquadrarli. Cosi’
come fanno nel lavoro dipendente, dove incidono quasi per il 10%,
negli ultimi anni essi stanno dimostrando un notevole dinamismo come
creatori di aziende, nonostante la negativita’ dell’attuale
congiuntura economica.

      Diverse indagini hanno posto in evidenza che il livello di
istruzione degli imprenditori stranieri si pone al di sopra di quello
dei lavoratori dipendenti immigrati, peraltro tutt’altro che
trascurabile. Considerate le difficolta’ per far riconoscere i titoli
conseguti all’estero, essi si adoperano per valorizzare nel concreto
il loro elevato livello di formazione e le capacita’ che non possono
esprimere nei lavori piu’ umili che affidiamo loro.

      Vogliono guadagnare di piu’, perche’ come lavoratori dipendenti
mediamente percepiscono il 60% del salario corrisposto agli italiani,
mentre dagli archivi previdenziali risulta che il lavoro autonomo si
colloca a un livello piu’ elevato e consente di avere piu’ tempo
libero per occuparsi della famiglia e dei propri interessi. Con la
loro operativita’ vogliono scrollarsi da dosso i pregiudizi con i
quali si sentono inquadrati, dando di se stessi un’immagine piu’
veritiera e mostrando di essere capaci di realizzazioni significative
che vanno a beneficio dell’intera collettivita’.

Alcuni di loro gia’ in patria hanno lavorato come
artigiani, piccoli imprenditori o liberi professionisti e possono
cosi’ valorizzare le competenze acquisite. In Italia il piu’ delle
volte hanno fatto la gavetta da dipendenti, spesso cambiando lavoro,
come e’ successo anche a un pilota di aerei Mig, che ha lasciato
l’Albania dopo la grave crisi delle cosiddette ”piramidi
finanziarie” del 1997 e ora e’ diventato imprenditore edile.

      Diversi, tra gli imprenditori che operano nel commercio, possono
esprimere una ”sensibilita’ etnica” in quanto commerciano prodotti
tradizionali del Paese di origine, che aiutano a mantenere vivi i
legami di appartenenza. Il piu’ delle volte, pero’, sono gli italiani
a essere considerati la quota piu’ importante della clientela. Tra i
nordafricani, come anche tra i senegalesi, la vocazione commerciale e’
in prevalenza maschile, cosi’ come lo e’ tra i pakistani, i bengalesi
e i cinesi, mentre la presenza imprenditoriale di altre collettivita’
si tinge piu’ spesso di rosa. In media solo un sesto di queste imprese
ha come titolare le donne, che invece costituiscono la meta’ della
popolazione immigrata.

      L’imprenditoria e’ un’avventura impegnativa che si affronta con
coraggio, lo stesso che sta all’origine della decisione di emigrare.
La volonta’ di affermarsi e’ fortissima, anche se talvolta viene
sopraffatta, o quanto meno frenata, dagli ostacoli legislativi,
burocratici, finanziari, ambientali. La scelta imprenditoriale
attesta, nei fatti, quanto sia slegata dalla realta’ l’idea di
un’immigrazione usa e getta, da utilizzare a seconda delle congiunture
economiche, e induce a sottolineare che lo scollamento tra esigenze
economiche e sistema normativo non e’ solo pregiudizievole per gli
immigrati ma anche per il ”sistema paese”.

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