Menu

Il portale dell'immigrazione e degli immigrati in Italia

in

Processo al clandestino, c’è il reato ma lui no

Risposte sbagliate ad un problema vero e sentito. Malintenzionati tranquilli come prima, benintenzionati nei guai più di prima.

Roma  – 27 ottobre 2009 – Legge Maroni tre mesi dopo. Il clamore politico si è momentaneamente placato. Nel frattempo, i processi ai clandestini non si fanno, o tutt’al più vanno avanti pianissimo.

Il clandestino-imputato, infatti, nove volte su dieci non si presenta in aula (se no, che clandestino sarebbe?). Oppure si presenta, ma con in mano una richiesta di assunzione come badante in base alla sanatoria in corso. Se gli avvocati fanno il loro mestiere, i giudici non sanno che pesci prendere. E rinviano le decisioni, in barba alla “direttissima” prevista dalle nuove norme.

Risultato: finora non si riesce a condannare ed espellere nessuno. In più, alcune procure (tra cui Bologna, Pesaro, Agrigento  e Torino) hanno sollevato questioni di costituzionalità sul reato di clandestinità.

A Torino, ad esempio, è stata ipotizzata la violazione di tre articoli della Costituzione: il 3 (principio di uguaglianza), il 2 (violazione dei diritti fondamentali dell’essere umano) e il 25 (principio di legalità: si può punire un soggetto che non ha commesso reati dipendenti dalla sua volontà?). Molto interessante la questione di merito: alla sbarra c’era un immigrato egiziano sposato con una donna marocchina regolare, e con una bambina di pochi mesi. L’uomo voleva mettersi anche lui in regola, ma quando si è presentato per chiedere il permesso di soggiorno è stato denunciato in base alla legge Maroni. Per la procura è stato leso il diritto del minore all’identificazione, alla cittadinanza ed all’istruzione.

Di rilievo anche la motivazione del ricorso di Pesaro: verrebbe meno, tra gli altri, il principio di ragionevolezza. Il nuovo reato sarebbe infatti “privo di effetti concreti”, perché “in pratica  nessuno pagherà la multa da cinque a diecimila euro, mentre l’espulsione era già prevista e possibile anche prima”.

Storie molto istruttive, nell’Italia delle declamazioni e delle guerre di principio. Da noi non va molto di moda occuparsi del concreto. Quando si parla di immigrazione, ad esempio, il dibattito è regolarmente incentrato sul “derby” tutto ideologico fra difensori della razza (variante: “della terra dei padri”) e anime pie per le quali essere immigrato vuol dire avere solo diritti. Così, il famoso pacchetto-sicurezza ha animato per mesi uno scontro astratto basato sulle seguenti tesi: da un lato i sostenitori del “reato di clandestinità”, inteso come necessario giro di vite e messaggio forte al mondo intero, dall’altro coloro che ritenevano che violare la legge sia una sorta di optional consentito ad ogni immigrato.

Due risposte sbagliate ad un problema vero e sentito. Essere clandestino non può essere di per sé un reato, per il motivo che sintetizza bene una recente pronuncia della Corte Costituzionale: “La clandestinità è una condizione soggettiva non univocamente sintomatica di una particolare pericolosità sociale". Un principio giuridico confermato dalla realtà economico-sociale italiana, in cui non è raro imbattersi in “clandestini” che lavorano e pagano le tasse, hanno casa, famiglia e relazioni sociali. D’altro canto, non si può neppure ammettere che allo straniero la legge italiana sugli ingressi non sia applicabile, e quindi chiunque possa entrare nel nostro paese per fare ciò che gli va.

L’unica strada sarebbe un controllo degli ingressi molto più stringente, unito ad un censimento reale e rigoroso di chi oggi è in Italia senza titolo. Se il “clandestino”, ad esempio, è uno che frequenta la scuola oppure lavora in una casa o in una fabbrica, è evidente che va regolarizzato senza indugio. Se invece è un tizio che ciondola senza fissa dimora, non gli va semplicemente consegnato un foglio, sapendo che appena girato l’angolo lo getterà nel cestino, ma va fermato e subito rispedito nel suo paese.

Si tratta di una strada impervia, faticosa, ma del resto quando si tratta di persone umane e non di merci, ogni scorciatoia dovrebbe essere vietata.

Al contrario, il mondo politico ha scelto di sanzionare la clandestinità come reato, per dare un energico segnale che la musica è cambiata. Il segnale è stato dato. Ma il risultato è che nelle aule di tribunale c’è il caos, le procure si rivolgono alla Consulta, il clandestino malintenzionato è tranquillo come prima e quello benintenzionato è nei guai più di prima. 

Sergio Talamo

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]
Exit mobile version