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Profughi da Tunisia e Libia. Uil: “40 mila nel limbo dell’irregolarità”

“I permessi umanitari dei tunisini sono scaduti e per gli altri non è stato fatto nulla. O si regolarizza chi ha trovato lavoro, oppure si proceda con i rimpatri volontari”

Roma – 18 aprile 2012 – L’anno scorso, la “primavera araba” e la guerra in Libia hanno spinto in Italia oltre 60mila persone, arrivate a Lampedusa su imbarcazioni di fortuna dopo pericolosissimi viaggi della speranza.

Ai nordafricani arrivati prima del 5 aprile, per la stragrande maggioranza tunisini, è stato concesso un permesso umanitario ormai scaduto. “Per gli altri, arrivati dopo il quella data, e per circa 30 mila profughi e migranti arrivati dalle coste della Libia (in parte lavoratori sub sahariani fuggiti dalla guerra, in parte profughi dal Corno d’Africa), non è stato previsto nulla” denuncia oggi la Uil.

Il sindacato calcola che circa 11 mila tunisini siano ancora presenti in Italia e siano da due settimane sprovvisti di ogni forma di permesso o  protezione. “A questi vanno aggiunti 30 mila centroafricani  arrivati dalle coste della Libia, che da un anno vagano per l’Italia o finiscono nei CIE, senza che nessuna assistenza venga loro garantita (tranne quella preziosa delle associazioni religiose, di volontariato o l’appoggio dei sindacati). Molti di queste persone hanno fatto (incautamente) richiesta d’asilo, nella maggior parte dei casi negata dalle autorità”.

“Il problema vero – sottolinea la Uil – è che non si è ipotizzata per loro nessuna soluzione: non vengono espulsi perché probabilmente la cosa appare impraticabile e inumana; non vengono regolarizzati perché la legge non lo permette (ma, allora, perché l’eccezione per i tunisini?). Come spesso succede da noi, le cose restano sospese a mezz’aria in una sorta di limbo le cui conseguenze le pagano però i diretti interessati”.

Secondo il sindacato questo modo di fare le cose a metà è sbagliato. Perché “concede la protezione umanitaria solo ad una parte dei tunisini e non a tutti quelli arrivati durante i rivolgimenti in Patria”, “perché non estende i permessi a chi è fuggito da una situazione di guerra come quella avuta in Libia” e perché “affrontare una situazione così seria con provvedimenti parziali e palliativi, serve solo a causare sofferenza a quelle persone e una cattiva impressione nell’opinione pubblica che non capisce la ratio dell’agire pubblico in materia di immigrazione”.

Se davvero si ritiene conclusa l’emergenza in nord africa, secondo la Uil restano solo due possibilità. “O regolarizziamo chi di loro trova un lavoro in Italia o pensiamo a forme di ritorno volontario assistito, magari sulla base di accordi con il nuovo governo libico e con la Tunisia, dove molti di loro prima lavoravano”.

“Quello che è veramente importante, soprattutto in questa situazione di grave crisi   economica, è di non usare due pesi e due misure e – tantomeno – offrire palliativi che spostano in avanti il problema ma non lo risolvono mai. Che senso ha – conclude il sindacato – se, da una parte giustamente si ratifica la direttiva 52 per combattere il lavoro irregolare, ma dall’altra si lasciano 40 mila persone nel limbo dell’irregolarità?”.

 

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