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Profughi, le anomalie italiane nell’esame delle domande d’asilo

Tempi lunghi per le risposte, esiti che variano da una commissione all’altra, nazionalità “a rischio” e non. Oltre a cambiare le regole europee, bisognerebbe intevenire sulle stranezze del nostro sistema

 

Roma – 10 maggio 2016 – Quando si affronta la tematica dei profughi che giungono in Europa dal Medio Oriente e dall’Africa, l’opinione pubblica sembra polarizzata tra gli estremi di un rifiuto generalizzato (certamente maggioritario) o di una accoglienza indiscriminata. Se riteniamo che la distinzione tra migrazioni economiche e richieste di asilo non sia un artificio giuridico (e pur sapendo, ad esempio, che storicamente molti paesi africani non propriamente democratici sono stati considerati, a fasi alterne, sicuri oppure no), occorre entrare nel merito dei meccanismi che regolano le procedure delle domande e la loro concreta applicazione.

Ci sono rilevanti questioni a livello europeo (tra cui, la modifica degli accordi di Dublino, la definizione dei contenuti dell’intesa tra Ue e Turchia, il tema dei ricollocamenti, la gestione delle frontiere esterne), ma è importante osservare le anomalie che differenziano la gestione delle domande da parte del nostro paese rispetto alla maggioranza dei partner europei. Se non si interviene su di esse, la modifica delle regole europee non si dimostrerà sufficiente a migliorare la situazione dell’accoglienza dei profughi sul duplice versante dell’equità e dell’umanità.

Le anomalie italiane

La prima anomalia è quella sui tempi di esame delle richieste d’asilo. Mediamente in Italia sono necessari dodici mesi (senza considerare la prassi dei ricorsi in caso di diniego, che mediamente raddoppiano la durata delle permanenze), mentre nel resto d’Europa i tempi sono molto più rapidi, in alcuni casi due o tre mesi. Incide qui il numero di commissioni territoriali che esaminano le domande di asilo: il ministero dell’Interno ha fatto uno sforzo notevole, passando in pochi anni da una unica commissione centrale a venti commissioni territoriali più venti sezioni periferiche, per un totale di quaranta sedi di esame sparse sul territorio nazionale. È vero che aumentarne ulteriormente il numero avrebbe un costo, ma sarebbe compensato dalla riduzione dei tempi di permanenza in Italia di persone destinate al rimpatrio.

La seconda anomalia è costituita dalle forti differenze che si registrano negli esiti delle domande di asilo da parte delle commissioni territoriali. La media nazionale del 41,5 per cento di risposte positive si compone di differenze che non trovano motivazioni né nei paesi di provenienza, né in altri criteri: si va da un picco massimo di oltre il 54 per cento di domande accolte nelle regioni settentrionali (esclusa la Lombardia) a un minimo del 16 per cento in Sardegna, del 24 per cento in Toscana-Umbria e del 26 per cento in Campania-Molise. È quindi necessaria un’opera di omogeneizzazione e uniformità nei criteri relativi alle procedure di valutazione delle domande.

Tabella 1 – Esiti richieste d’asilo per paese di origine per area territoriale della commissione

Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati ministero dell’Interno

 

La terza anomalia è forse la più rilevante, perché denota uno scarto in qualche caso sorprendente tra le valutazioni italiane e la media europea nell’accoglienza dei cittadini di una medesima nazionalità.

Pur tenendo presente che l’esame della domanda di protezione riguarda il singolo richiedente (considera la storia della persona, oltre al paese di provenienza), l’Italia risulta tra i paesi più restrittivi nell’accogliere le domande di prima istanza provenienti dai siriani (oggi forse il paese simbolo nel mondo degli esodi forzati negli ultimi anni) con il 55,8 per cento di esiti positivi, contro una media Ue del 97,2 per cento. D’altra parte, il nostro paese è piuttosto prodigo nell’accogliere le domande di persone provenienti da paesi come Guinea, Ucraina, Albania e altri che normalmente non vengono considerati come aventi caratteristiche tali da motivare la richiesta di asilo.

Qui il lavoro di omogeneizzazione e uniformità dei criteri è indispensabile sia a livello europeo sia soprattutto italiano per non minare alla base la credibilità della distinzione tra migrazioni economiche e richieste di asilo. Né si può sottovalutare il fatto che le organizzazioni che presiedono il traffico di persone e gli stessi migranti hanno dimostrato di non ignorare l’esistenza di comportamenti difformi da parte dei paesi dell’Unione Europea.

 

Tabella 2 – Esiti delle richieste d’asilo per paese d’origine

* Paesi con almeno 500 domande esaminate in Italia nel 2015

Fonte: elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati ministero dell’Interno

Negli ultimi anni la faticosa discussione tra i paesi membri dell’Ue si è consumata soprattutto in estenuanti rimpalli sulla distribuzione dei profughi. Se i risultati sono stati finora scarsi, si deve anche al fatto che si tratta di omogeneizzare ventotto sistemi di accoglienza assai differenziati tra loro. Anche la tematica dei rimpatri (complicata da difficoltà giuridiche e organizzative) risulterebbe semplificata da trattative (e relativi impegni economici) gestite dall’Ue con i principali paesi di provenienza dei profughi. Nonostante i numeri degli ultimi anni abbiano aggravato la situazione, il tema dei rimpatri è da tempo una questione irrisolta: secondo l’Agenda europea del 2013, solo il 43 per cento dei migranti colpiti da un ordine di espulsione aveva lasciato il suolo europeo.

La gestione delle frontiere esterne e il superamento delle regole del sistema Dublino sono temi importanti. Non si può tuttavia sottovalutare il fatto che la difficoltà di giungere a intese in ambito europeo è motivata anche e soprattutto da una reciproca sfiducia sulla gestione dell’emergenza. La sfiducia può essere ridotta o superata solo se i tempi di attesa e la qualità delle risposte ai profughi da parte dei 28 membri dell’Unione riusciranno a diventare progressivamente più omogenei.

Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin
Lavoce.info

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