Napoli – 4 febbraio 2014 – Ostaggi dei datori di lavoro, con turni da quattordici ore al giorno pagati meno di tre euro l’ora. Ancora schiavi, ancora in Italia. Non nei campi del meridione o nei capannoni della periferia di Prato, ma a S.Antimo, paese dell'hinterland napoletano, impiegati nell’industria tessile locale.
Sono soprattutto cittadini bengalesi, il più delle volte senza permesso di soggiorno. E i loro passaporti sono spesso sequestrati dai datori di lavoro, connazionali, che li privano così della possibilità di andarsene, magari per cercare altrove un lavoro degno di questo nome.
Ora, però, gli sfruttati stanno alzando la testa. Domenica scorsa oltre cento bengalesi si sono riuniti in assemblea a S.Antimo per denunciare la loro situazione, insieme a diverse realtà sociali del terzo settore, a cominciare dall’associazione antirazzista 3 Febbraio. E il 21 febbraio, in occasione della festa della lingua del Bangladesh, è prevista una giornata di mobilitazione.
“Questa non è umanità ma è schiavitù” spiega l’Associazione 3 Febbraio. “Per questo denunceremo per riduzione in schiavitù il padrone chiedendo al prefetto che siano dati i permessi di soggiorno per motivi umanitari ex. art. 18 del Testo Unico sull'Immigrazione. Questo dramma non può passare inosservato, non vogliamo che si ripetano tragedie come quella di Prato dove morirono lavoratori cinesi colti nel sonno da un incendio nelle stesse fabbriche dove lavoravano”.