È quello che Laila Wadia cerca di scoprire in Come diventare italiani in 24 ore. Un diario sulla scoperta dell’identità tricolore
Roma – 5 aprile 2011 – “Immaginate di avere 24 ore per apprendere i fondamentali, le abitudine, i modi tipici di fare dell’italiano medio. Ogni ora un dettaglio del nostro carattere nazionale sotto la lente di ingrandimento e alla fine … il miracolo! Raggiungere il massimo livello del nostro QI”.
QI? Non parliamo di Quoziente intellettivo ma di Quoziente di italianità, di essenza dell’italianità, di identità italiana: quell’identità che Laila Wadia cerca di scoprire nel suo secondo romanzo, Come diventare italiani in 24 ore.
Laila, indiana, è arrivata in Italia per studiare. Poteva scegliere un altro paese, ma ha preferito il nostro: "ho scelto di essere italiana assumendo un insieme di diritti e di doveri".Venuta qui 24 anni fa, oggi ha 44 anni e insegna all’università.
Nel suo romanzo ironico e divertente la protagonista, alter ego della scrittrice, racconta le sue vicissitudini dopo l’emigrazione in Italia, a Venezia e poi a Trieste, come se le confidasse ad un diario di mappe e date che guidano la giovane indiana lungo la sua parabola migratoria, alla scoperta dell’identità tricolore. La sua opera nasce anche grazie a don Luigi, un missionario toscano, insegnante di italiano di Laila. “Tieni un diario e annota le cose che ti capitano e soprattutto le parole nuove, i modi di dire. Ti aiuterà ad integrarti più in fretta possibile.”, le suggeriva Don Luigi e Laila, appena sbarcata in Italia nel 1986, comprò un diario. Lo riempì di parole, interrogativi e scoperte, imparando una nuova lingua e condividendo una nuova identità.
Caro diario,
sta piovendo a dirotto. Nicola sta guardando la tv e io, al suo fianco, sto riflettendo sul mio futuro.
Il mio lavoro mi piace molto, ma è auspicabile rimanere insegnante a vita o sarebbe meglio cambiare mestiere per una mia crescita personale? Mentre mi interrogo sul da farsi, sullo schermo appaiono due signori distinti che sembrano intenti a fornire una dimostrazione di infarto in diretta televisiva. Una donna dalle labbra rifatte li interrompe in continuazione, imitando il canto d’amore degli istericosauri. Invece di interpellare le forze dell’ordine, il conduttore del programma sorride beato e si frega le mani.
Ho il QI sufficientemente sviluppato da sapere che si tratta di una trasmissione politica, non di incontro di pugilato tra detenuti dei bassifondi, come crederebbe chiunque fosse arrivato in Italia l’altro ieri.
“Potrei intraprendere una carriera politica che ne dici?” rimugino. “Se Sonia Gandhi può candidarsi a Primo ministro in India, perché un’italiana per scelta non può fare la parlamentare qui?”
“Beh” replica lui, “non credi di avere un rapporto un tantino schizofrenico con il paese? Vabbè, forse quello è un vantaggio. Poi, vediamo, da quando sei arrivata hai imparato a far soldi scrivendo e raccontando un sacco di frottole. Anche questo potrebbe giocare a tuo favore. Sei pure diventata esperta in metafore, il che va di moda, tuttavia…”
I suoi punti di sospensione mandano sulle montagne russe il mio QI.
“Tuttavia cosa?”
“Sei ancora troppo diversa”.
Noooooooooo! Da chiunque altro sì, ma da lui, che ha giurato di amarmi nella buona e nella cattiva sorte davanti a quattro capi religiosi, non mi aspettavo una cattiveria del genere! Poteva chiamarmi una stronza, esaltata, tutto quello che vuoi….ma diversa no!…
“Cosa faccio che non va?”
“Alzi la mano quando vuoi fare una domanda”.
Passo mezz’ora in assoluto silenzio e poi rilancio.
“Ma perché si dice piove, governo ladro?” – se non sono ancora brava ad interrompere i miei interlocutori, almeno mi alleno a rompere le palle a casa.
Rassegnato, il mio consorte spegne la tv e mi porta un mappamondo. Mette il dito sul deserto del Sahara.
“Guarda” dice. “Cosa vedi?”
“Chilometri e chilometri di sabbia”.
“Esatto. Nessun insediamento umano, nient’altro che sabbia, capito?”. Aggiunge che negli altri paesi l’uomo più influente si chiama Cancelliere, Prime Minister, Sultano, mentre in Italia si dice Capo di Gabinetto.
“Quindi, che tipo di governo ci meritiamo?” conclude.
Chissà perché la mia voglia di politica svanisce all’istante.
“Nicola?”
“Mò che c’è?”
“E quando si dice che un paese va a puttane?”
Il libro contiene una sorta di manuale, di istruzioni a diposizione del lettore, con ogni ora dedicata alla scoperta di un elemento dell’italianità:
"Ore 4: imparare a sognare come un italiano doc.
Gli italiani sognano forse più degli altri – ed è probabilmente questo l’elisir del paese. I poveri sognano di vincere la lotteria, i ragazzi sognano un lavoro fisso, i vecchi sognano di arrivare a fine mese con la pensione sociale, i ricchi sognano la residenza a Montecarlo, ma tutti gli abitanti del Belpaese sognano di vincere nuovamente il mondiale e di tornare alla cara vecchia lira e ad un mondo dove tutto costava la metà, persino questo libro.
P.S. Il mio medico di famiglia sostiene che se hai più di cinquant’anni e nemmeno un acciacco, vuol dire una sola cosa: che sei morto. Suppongo che lo stesso valga per una nazione".
Tonia Garofano
Italialtri (ilfuturista.it)
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