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“Il capitano della nave? Non solo italiano”

La Corte di Giustizia boccia il codice di navigazione italiano. Discrimina gli altri cittadini dell’Ue Roma – 15 settembre 2008 – Perché il capitano e il comandante in seconda di una nave mercantile sul cui pennone sventola il tricolore devono essere per forza italiani e non, ad esempio, romeni o polacchi? Così si viola il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari!

A tirare le orecchie all’Italia è una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, che giovedì scorso ha accolto le critiche mosse dalla Commissione europea al nostro codice della navigazione. Questo inserisce infatti la cittadinanza tra i requisiti per occupare posti di comando.

L’Italia fino a oggi ha giustificato questa limitazione col fatto che a bordo il capitano esercita le funzioni di ufficiale di stato civile e polizia giudiziaria, e inoltre può ricevere testamenti. Avrebbe insomma in mano un potere che può essere accordato solo a cittadini italiani.

Ma la Corte ha bocciato questa tesi.

Secondo i giudici, infatti,  “non emerge che i capitani e gli ufficiali (comandanti in seconda) esercitino effettivamente poteri di pubblico imperio in modo abituale a bordo di tutte le navi battenti bandiera italiana, per una parte delle loro attività che non sia molto ridotta”. Insomma, i casi in cui un capitano, ad esempio, riceve un testamento o arresta qualcuno, sono troppo rari per giustificare una limitazione così generale.

Di conseguenza, avendo mantenuto il requisito della cittadinanza, “la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell’art. 39 CE”, che sancisce al libera circolazione dei lavoratori dell’Unione. E dovrà anche pagare le spese del processo.

Leggi la sentenza della Corte di giustizia

EP

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