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“In ginocchio davanti a migranti”. Olmi racconta l’accoglienza

Il regista a Venezia con “Il villaggio di cartone”, storia di una chiesa che diventa rifugio per i clandestini. “I cattolici si ricordino di essere cristiani, non ci si può genuflettere davanti a un crocifisso e non avere solidarietà per chi soffre”

Roma – 6 settembre 2011 – ”Non bisogna inginocchiarsi davanti al crocifisso, che e’ solo un simulacro di cartone, ma verso chi soffre come gli extracomunitari”. È la lezione del maestro Ermanno Olmi, che ha presentato oggi fuori concorso alla mostra del cinema di venezia “Il villaggio di cartone”.

Il film racconta la storia di un anziano prete e della sua chiesa dismessa, dal quale viene portato via ogni addobbo, persino il crocifisso. Quell’edificio ormai vuoto si riempirà però di migranti in cerca di un rifugio, nascendo a nuova vita, darà così un senso alla missione del sacerdote e diventerà un’efficace metafora dell’accoglienza.

“Piu’ la Chiesa, la casa e noi tutti ci liberiamo degli orpelli, meglio e’. Senno’ siamo maschere, uomini di cartone”ha detto Olmi in conferenza stampa, dopo che il suo film è stato accolto da lunghi applausi. “Vorrei suggerire ai cattolici – e io sono tra questi – di ricordarsi piu’ spesso di essere anche cristiani. Il vero tempio e’ la comunita’ umana” ha aggiunto il regista.

A un giornalista che gli chiedeva se in questo modo il cattolicesimo si ridurrebbe ad esser solo accoglienza, Olmi ha ribattuto: “Sia cosi’ cortese da dirmi cos’e’ piu’ importante dell’accoglienza? Cosa? La sacralita’ dei simboli? Il simbolo deve rimandare ad una realta’ di carne per avere valore. Non e’ possibile che ci genuflettiamo davanti ad un Cristo di cartone o di legno e poi non abbiamo solidarieta’ per chi soffre. E’ troppo comodo”.

Nella chiesa del Villaggio di Cartone convivono il bene il male, come dimostra la presenza, tra i migranti, di una terrorista, che convincerà un giovane a indossare una cintura esplosiva. “Il mio non e’ un film realistico – ha spiegato il regista  – ed ogni presenza e’ simbolica. Il ragazzo, suggestionato dalle parole della terrorista, decide di accettare l’atto violento come un dovere per non dialogare con l’altro.

Esattamente come il sacrestano denuncia i clandestini per paura di aprire la porta della sua casa senza chiedere a tutti: chi sei? Da dove vieni? Solo nel confronto e nel dialogo con gli altri possiamo capire chi siamo”.

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