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“In Italia per salvarmi”, i racconti di chi sbarca

Medici senza frontiere ha raccolto le testimonianze di migranti e profughi. E denuncia: “Accoglienza pessima, l’Italia si muova”

Roma – 6 maggio 2011 –  Nigeriani somali, eritrei, gambiani, tunisini… uomini e donne sbarcati a Lampedusa sono nati in Paesi diversi, ma hanno in comune storie tragiche. Prima della partenza, durante la traversata e anche una volta arrivati in Italia.

Gli operatori di Medici senza frontiere, impegnati nell’accoglienza di migranti e profughi, hanno raccolto le loro testimonianze in un dossier: “In cerca di salvezza. La sofferenza nascosta” . Ed è partendo dai loro racconti che l’organizzazione medico-umanitaria chiede alle autorità italiane di migliorare le condizioni di accoglienza per i nuovi arrivati, in particolare per i più vulnerabili.

Nel dossier ci sono le voci di chi è scappato dalla guerra in Libia. Un ventottenne nigeriano racconta:  “Sparavano giorno e notte, tutti i giorni. A volte vanno casa per casa. Cammini per strada, una macchina si ferma e qualcuno dietro di te ti spinge dentro a forza e tu scompari. Per salvarmi la vita mi sono imbarcato, senza sapere dove andavo”.

Con l’inizio della guerra civile, è partita anche una sorta di caccia al nero. “Lavoravo in un ristorante – dice  un gambiano – Un pick up con uomini armati ci ha sparato, il mio collega è morto sul colpo. Eravamo quattro neri a lavorare in cucina e abbiamo deciso tutti di andarcene. Se sei nero a Tripoli non puoi andare in giro perché sei in pericolo”.

C’è chi, come una giovane eritrea, ha già provato i famigerati centri di detenzione libici. “Eravamo tredici donne in una stanza … stavamo sdraiate per terra e le guardie ci picchiavano con dei bastoni di plastica… a volte abbiamo visto, attraverso una finestrella, le guardie picchiare gli uomini: li colpivano sotto i piedi, urlavano a non finire”.

Poi c’è il terrore delle traversate, viaggio della disperazione, più che della speranza.  “Ero sulla barca che è affondata. – racconta un ragazzino somalo  – Sono rimasto ferito al volto quando la barca ha cominciato ad imbarcare acqua . Ho dovuto lottare per sopravvivere. E poi al guardia costiera ci ha preso a bordo, ha salvato tre di noi, ma molte persone non ce l’hanno fatta”.

Arrivati in Italia, non finiscono le paure. Diverse, ad esempio, le testimonianze di donne sole che temono gli altri ospiti dei centri di accoglienza. “La scorsa notte un uomo mi ha seguito in bagno, l’ho spinto via e sono scappata gridando. Gli uomini scavalcano il muro e vengono nelle nostre stanze. Di notte abbiamo paura, non riusciamo a dormire. La polizia non fa niente”.

“Le storie dei rifugiati e dei migranti, in fuga dalle violenze per sopravvivere, parlano delle estreme sofferenze fisiche e mentali che hanno dovuto sopportare. Una volta arrivati in Italia, le pessime condizioni di accoglienza li espongono a ulteriori sofferenze: ancora vulnerabilità e incertezza” scrive Medici senza Frontiere.

L’organizzazione chiede di garantire un adeguato supporto medico e psicologico; migliorare le condizioni nei centri, garantire standard minimi di accoglienza per le persone vulnerabili, come ad esempio aree separate per donne sole e minori non accompagnati; informare i nuovi arrivati sulle procedure per il diritto di asilo ; pianificare l’accoglienza di rifugiati e migranti che arriveranno nei prossimi mesi.

“Dal gennaio 2011, a oggi sono sbarcate nel sud dell’Italia 27.000 persone, e indubbiamente nei prossimi mesi se ne aggiungeranno altre, in fuga dal Nord Africa per sopravvivere o per sottrarsi alla violenza. È ora – conclude l’associazione – che l’Italia si assuma le proprie responsabilità nei confronti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti che sbarcano sulle sue coste”.

Elvio Pasca
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Medici Senza Frontiere:“In cerca di salvezza. La sofferenza nascosta”

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