Roma – 3 dicembre 2013 – Se tra le tante idee di governo dell’immigrazione si misurano spesso distanze siderali, ce n’é una che, per buon senso, unisce quasi tutti: è fondamentale che gli immigrati imparino l’italiano. Gli adulti arrivati qui in cerca di un lavoro, così come i loro figli che li hanno seguiti o raggiunti con un ricongiungimento.
Stupisce allora che coloro che dovrebbero mettersi dietro una cattedra a insegnare la lingua di Dante a chi arriva da un Paese dove Dante è un autore straniero, sono, per loro stessa ammissione, “fantasmi”.
“Siamo fantasmi e siamo migliaia, qualificati da anni per insegnare l’italiano agli stranieri, in Italia e all’estero, ma ancora in attesa che il ministero dell’Istruzione riconosca il nostro ruolo e unifichi una volta per tutte le certificazioni sull’insegnamento dell’italiano come seconda lingua” conferma Chiara Sbragia, giovane docente campana di Italiano L2, cioè italiano come seconda lingua.
Dopo essersi laureata in lingue straniere all’Orientale di Napoli, Sbragia ha cambiato prospettiva, specializzandosi a Siena in didattica dell’italiano per stranieri e iniziando poi a insegnare. Ha lavorato all’estero, in Germania e Argentina, poi è tornata in Italia, ma continua a scontrarsi, come tanti suoi colleghi, con tutti i limiti di una professione ancora non riconosciuta dal nostro ordinamento.
“Da oltre dieci anni in tutti gli atenei sono nate lauree specialistiche o master per la didattica dell’Italiano L2, che si affiancano ai corsi per le certificazioni Ditals, Cedils e Dils rilasciate dalle università di Siena, Venezia e Perugia. Un’offerta formativa corposa, eppure non esiste ancora una classe di concorso per insegnanti di italiano L2” spiega.
La conseguenza è che quando i centri territoriali permanenti, le strutture pubbliche dove si insegna l’italiano agli adulti,. devono reclutare un docente, Sbragia e i suoi colleghi vengono facilmente scavalcati da altre figure professionali, come i professori di lettere, che una classe di concorso ce l’hanno. “Un professore di lettere, però, non ha una preparazione specifica per quel ruolo, una cosa è spiegare la letteratura, o insegnare l’italiano a un madrelingua, un’altra insegnare l’italiano a un immigrato”.
Anche nelle scuole più multietniche, quando si organizzano laboratori di italiano per aiutare i ragazzi stranieri appena arrivati a inserirsi nelle classi, le ore vengono affidate a docenti interni, oppure a docenti pescati dalle graduatorie delle classi di concorso già esistenti. E lo stesso vale per i corsi di italiano organizzati dalla nostra rete consolare nel mondo. Ai “veri” insegnanti di italiano L2 non rimane che lavorare nel privato o nel volontariato.
È per questo che è nata una petizione online che ha già raccolto cinquemila adesioni. Contiene tre richieste: “un riconoscimento ufficiale della professione di insegnante di italiano L2/LS da parte del Ministero della Pubblica Istruzione; una certificazione univoca che attesti tutte le nostre qualifiche (certificazioni DITALS, CEDILS, lauree specialistiche e master in Italiano L2); l'istituzione di una classe di concorso specifica in Italiano Lingua Seconda”.
“La nostra battaglia – conclude Sbragia – non riguarda solo noi. C’è in ballo anche l’integrazione degli immigrati e dei loro figli: è giusto che imparino l’italiano da docenti qualificati, che si sono formati proprio per svolgere al meglio un lavoro così importante”.
Elvio Pasca