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“Ostacoli, poca informazione e disinteresse. Ecco perché i romeni non votano in Italia”

Gazeta Românească intervista il sociologo Luca Raffini. “Lo Stato e i Comuni devono muoversi, non possono lasciare il compito di informare e formare alle associazioni”

Roma –  16 maggio 2013 –  Sono poco più di ottomila, su settantamila maggiorenni residenti a Roma, i cittadini comunitari che si sono iscritti alle liste aggiunte per partecipare alle elezioni amministrative. E non va meglio negli altri comuni che il 26 e il 27 maggio andranno al voto.

Perché gli elettori comunitari sono così pochi? Gazeta Românească, settimanale dei romeni in Italia, lo ha chiesto a Luca Raffini sociologo e ricercatore dell'Università  G. d'Annunzio di Chieti e Pescara.

Il sociologo Luca Raffini
“Le cause – risponde Raffini – sono molteplici. Nell'ambito della recente ricerca Moveact – All Citizens Now, abbiamo rilevato una serie di barriere, di tipo formale e culturale.

Tra le prime, segnaliamo le regole disomogenee, e spesso farraginose, per l'iscrizione alle liste elettorali aggiunte. Molti cittadini non sono a conoscenza delle procedure da seguire, e non trovano adeguato supporto nelle istituzioni, a tutti i livelli.  D'altra parte, abbiamo rilevato che molti cittadini non sanno neanche di avere il diritto di voto attivo e passivo alle elezioni amministrative, o di potere votare alle elezioni europee dal paese di residenza.

Le barriere di tipo burocratico possono essere ridotte semplificando le procedure di iscrizione, o, meglio ancora, prevedendo una iscrizione automatica alle liste elettorali al momento dell'acquisizione della residenza. Ma neanche questo è, in sé, sufficiente a favorire una ampia mobilitazione, poiché alla base della scarsa partecipazione vi è un generalizzato disinteresse verso la politica, che l'esperienza di mobilità acuisce, per diversi motivi.

In primo luogo per le difficoltà incontrate nell'orientarsi in un altro sistema politico (non penso solo alla lingua, ma anche alle diverse culture politiche e ai differenti sistemi partitici), ma anche per fattori prettamente personali. Mi riferisco soprattutto alle persone, e nel caso dei romeni sono la maggioranza, che risiedono in Italia da pochi anni, e che hanno come priorità la dimensione lavorativa e familiare.

Chi dovrebbe fare informazione/ formazione? Quanto dovrebbe essere presente lo Stato e quanto lo è di fatto?
Informazione e formazione rappresentano una dimensione fondamentale per la promozione di una cultura della cittadinanza attiva e consapevole. Questo vale per tutti i cittadini, soprattutto in un periodo, come quello attuale, in cui la crisi economica radicalizza i sentimenti antipolitici e spinge, in alcuni casi, ad alimentare pulsioni antidemocratiche.

Nel caso dei cittadini europei mobili, a maggior ragione, informazione e formazione sono presupposti basilari per potersi integrare attivamente in una società diversa da quella di origine. Ma quando parliamo di informazione e consapevolezza non mi riferisco solo ai cittadini “mobili”, ma a tutti i cittadini, compresi politici e amministratori pubblici, che non hanno spesso un adeguata consapevolezza in merito alle sfide e alle opportunità connesse alla creazione di una società postnazionale come quella europea. La presenza stabile di una quota significativa della popolazione proveniente da altri paese dell'Unione è una di queste.

La cittadinanza europea non è da vedere come un qualcosa calato – o imposto – dall'altro, ma come un processo che trova il suo compimento nei territori. É qui, per esempio, che si può realizzare la concretizzazione dei diritti formali in pratiche attive di cittadinanza.
Le istituzioni politiche, a tutti i livelli, possono sviluppare campagne di informazione, iniziative e progetti per promuovere la cittadinanza europea, ma di fatto gli Stati nazionali, così come gli enti locali, sembrano limitarsi ad assumere un ruolo passivo.

Le attività di informazione e di formazione, nonché le campagne di mobilitazione, vengono promosse da associazioni e movimenti che spesso suppliscono al debole interessamento da parte delle istituzioni, supportando i cittadini mobili nell'esercizio dei loro diritti.
Chiaramente, le associazioni svolgono un ruolo prezioso, che non può però sostituire quello dello Stato e dei Comuni, in termini di risorse e di capacità di raggiungere una popolazione più ampia.

Perché, secondo lei, non ci sono ancora romeni in Parlamento, pur essendo la più grande comunità di immigrati in Italia?

L'Italia non ha dimostrato, fino ad ora, di essere un paese maturo, sul piano della costruzione di una società aperta, multiculturale e multinazionale, anche se recentemente abbiamo assistito a dei segnali di grande importanza, come la nomina di Cecile Kyenge come Ministro dell'Integrazione.

A mio parere siamo ancora in una fase in cui l'inclusione di cittadini di origine straniera nelle liste, o l'affidamento di incarichi politici, risponde ad una logica di rappresentanza etnica, a cui sottosta prevalentemente una dimensione simbolica. Ciò non toglie l'importanza di questi gesti, ma testimonia che siamo ancora ben lontani da una situazione in cui tutti i cittadini, al di là delle loro origini, possono concorrere a guidare il paese, o le città. Del resto, anche sul piano della parità di genere, il percorso è ancora lungo.

La sottorappresentazione dei romeni, pur costituendo la comunità in assoluto principale, si spiega, a mio parere, proprio con il carattere simbolico attribuito alle candidature “etniche”, che assumono più il valore di testimonianza che di certificazione di una piena apertura, indifferente alle origini. I romeni sono meno “etnicizzabili”, e per questo si prestano meno a operazioni simboliche, che – ripeto – hanno una loro importanza, ma non sono il segno di una piena parità di accesso e di rappresentanza di tutti i cittadini.

L’intervista integrale a Luca Raffini verrà pubblicata sul numero di Gazeta Românească in edicola da domani, 17 maggio, qui di seguito un estratto.

Miruna Cajvaneanu
 

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