Roma – 6 novembre 2013 – Ha una mano fratturata e molte ferite nell’anima Sourakhata Dioubate, musicista trentacinquenne di origine guineana, vittima di un’aggressione a Pieve di Cento, in provincia di Bologna.
Due settimane fa, mentre tornava a casa sua in bicicletta, è stato investito da una punto che non si è fermata a uno stop. Voleva ch intervenissero i vigili e quindi si è messo davanti all’auto per evitare che ripartisse, ma il guidatore l’ha insultato, poi è sceso, l’ha preso a schiaffi e lo ha colpito con una spranga di ferro.
“Sporco negro, torna a casa tua, brutto merdoso” gridava l’aggressore, fuggito quasi investendo la sua vittima prima che arrivassero i carabinieri. È stato però identificato grazie a un testimone che aveva annotato la sua targa: è un settantenne della zona. Ora dovrà vedersela con una denuncia per lesioni gravi, minaccia e ingiuria aggravata da discriminazione razziale.
Sourakhata Dioubate è un noto percussionista, membro di una famiglia di griot, cantastorie del Sahel, vive in Italia da 13 anni e ha due bambini. La mano ingessata lo terrà lontano dal suo lavoro per diversi mesi.
“Per quindici giorni sono rimasto chiuso in casa. Non volevo più uscire e ripassare davanti alla gelateria. Ho ricevuto tante chiamate da amici, allievi ed altri artisti, ma non rispondevo al telefono. Non sapevo che cosa dire ai miei due figli” ha raccontato. Poi ha deciso di rendere pubblica la vicenda.
Da quando è in Italia non gli è successo nulla di simile, dopo l’aggressione si chiedeva “sto sognando o è una cosa vera?”. Ora che ha sporto denuncia, dice Dioubate, “non ho paura, perchè so che la vita è una, non due”, ma quando ha dovuto mettere nero su bianco davanti ai Carabinieri gli insulti di quell’uomo, “mi ha fatto male scriverli”.
“Molte persone ci hanno già assicurato che diranno quello che hanno visto e sentito”, spiega il suo avvocato, Alessandro Valenti. Il legale parla di “una vicenda razzista e di inaudita ferocia, nata all’interno di una cultura che si stenta a credere possa ancora esistere “.