Roma – 8 marzo 2013 – Ha lavorato come uno schiavo nella fabbrica gestita dai connazionali per diciotto ore al giorno, guadagnando un euro l’ora. Ora ha avuto il coraggio di denunciare i suoi sfruttatori, e proverà ricostruirsi una vita in Italia.
È la storia di un giovane cinese assistito ora seguito dalla Questura e dal Servizio Immigrazione del Comune di Prato, che lo hanno inserito in un progetto anti-tratta in una città. Avrà un permesso di soggiorno per “protezione sociale” e la possibilità di lavorare, finalmente alla luce del sole.
Han (il nome è di fantasia) era arrivato in Italia clandestinamente, grazie a un’organizzazione che gli aveva anche trovato un posto in un laboratorio alla periferia di Prato. Per molto tempo è rimasto lì, in condizioni disumane, poi si è ustionato e ferito gravemente con uno dei macchinari e i suoi “colleghi” lo hanno abbandonato al Pronto Soccorso.
Quell’incidente e le domande della Polizia gli hanno dato spinta per raccontare quello che aveva vissuto fino a quel momento e per fare i nomi dei responsabili. Sono così partite le indagini sui suoi aguzzini e la procedura per proteggerlo e per permettergli di mettersi in regola, prevista per le vittime di grave sfruttamento.
“Nonostante la possibilità data dalla legge italiana, e' stata la prima volta che un cittadino cinese si e' presentato a dichiarare, dettagliatamente, la situazione di sfruttamento nella quale si era venuto a trovare, senza nemmeno conoscere la possibilità di avere, per questo, il rilascio di un permesso di soggiorno'' sottolinea Giorgio Silli, assessore all’integrazione di Prato.
“Anche se le indagini non sono ancora concluse, e per questo teniamo il massimo riserbo, è importante far comprendere come certe dinamiche di illegalità e sfruttamento vadano combattute anche dall'interno, dove queste si manifestano. Ognuno – dice Silli – può e deve reclamare i propri diritti, collaborando con le istituzioni, specialmente se in gioco c'e' la sicurezza e la stessa condizione di vita”.