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“Vola l’imprenditoria cinese in Italia”

Rapporto della Cgia di Mestre: “Non sembrano sentire la crisi. Molte irregolarità, ma le commesse arrivano anche dagli italiani”

Roma – 29 agosto  2011 – “Stando ai numeri, gli imprenditori cinesi non sentono la crisi” scrive la CGIA di Mestre in un rapporto appena pubblciato dal suo Ufficio studi.

.Gli imprenditori cinesi non sembrano sentire la crisi. Al 31-12-2010 hanno superato la soglia delle 54.000 unità. Rispetto al 2009, la crescita è stata del +8,5%, mentre le imprese italiane, sempre in questo ultimo anno di dura crisi economica, sono diminuite dello 0,4%. Le aziende italiane guidate da imprenditori cinesi stanno crescendo in maniera esponenziale: si pensi che tra il 2002 e il 2010 la loro presenza nella nostra penisola è cresciuta del +150,7%.

Al 31/12/2010 il maggior numero di imprenditori cinesi si trovava in Lombardia (10.998), seguono i colleghi che lavorano in Toscana (10.503) e quelli che hanno scelto il Veneto come regione in cui avviare l’impresa (6.343). Dal 2002 al 2010, gli imprenditori cinesi presenti in Italia sono aumentati del 150,7 %: con punte del 427,7 % in Molise, del 433,3 % in Basilicata e del 422,4 % in Calabria.

Se la crisi economica ha ridotto il numero di imprenditori italiani (-0,4% nell’ultimo anno), la presenza cinese è aumentata su tutto il territorio nazionale dell’ 8,5%, con picchi nel Trentino A.A. (+19,4%), nel Molise (+16,7%) e nelle Marche (+14,8%). Altro dato interessate è quello che concerne l’incidenza degli imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditoria straniera presente in Italia. Questo indicatore si attesta, ormai, all’8,6 %. In Toscana, però, arriva a toccare il 18,2 %, in Veneto il 10,9 %, in Emilia Romagna il 9, 4% e nelle Marche l’8,8%.

Infine, fatto 100 il totale degli imprenditori cinesi presenti in Italia, nel 39,5 % dei casi si concentrano nel commercio (con 21.342 piccoli imprenditori ) e nel 30,6 % dei casi nel manifatturiero (16.519). Di questi ultimi ben il 94,5% (pari a 15.618 imprenditori) sono occupati nel tessile, nell’abbigliamento, nelle calzature e nella pelletteria. Significativa la presenza anche nel settore alberghiero, dei bar e della ristorazione: le attività condotte da titolari cinesi hanno raggiunto le 10.079 unità.

“Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, in particolar modo nel commercio e nella lavorazione dei prodotti tessili – dichiara Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA – la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali”.

“Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra. Tuttavia è giusto sottolineare – conclude Bortolussi – che anche gli imprenditori italiani non sono immuni da responsabilità. In molte circostanze, coloro che forniscono il lavoro a questi laboratori cinesi sono committenti italiani che fanno produrre parti delle loro lavorazioni con costi molto contenuti. Se queste imprese committenti si rivolgessero a dei subfornitori italiani, questa forte riduzione dei costi di produzione non sarebbe possibile”.

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