Roma – 18 luglio 2013 – Cambia la geografia dell’integrazione in Italia, cioè, sintetizzando drasticamente, i luoghi dove vivono meglio o peggio gli immigrati. E, nel giro di due anni, quella stessa integrazione è diventata più difficile, con un “diffuso peggioramento”, complice la crisi, su tutto il territorio.
A mapparla è il IX Rapporto del Cnel sugli “Indici di integrazione degli immigrati in Italia”. E lo fa stilando classifiche in base a 18 indicatori statistici suddivisi in 3 gruppi tematici: l’attrattività dei territori, l’inserimento sociale e l’inserimento occupazionale degli immigrati. La combinazione di inserimento sociale e occupazione dà anche un “potenziale di integrazione” del territorio.
Viene fuori che tra le regioni il grado maggiore di attrattività, per la popolazione immigrata, è ancora detenuto dalla Lombardia, che con un indice di ben 91,9 su scala da 1 a 100 (era di 86,2 nel 2009), supera di gran lunga i contesti che seguono immediatamente: l’Emilia Romagna (che con un indice di 80,2 è l’unica regione a condividere, con la Lombardia, un grado di attrattività massimo), il Veneto (77,0) e, con un indice superiore a 60, ancora il Lazio (67,8), il Piemonte (64,2) e la Liguria (60,1).
Rispetto al 2009 (anno precedente a quello cui si riferisce il presente indice) tra le regioni di testa hanno significativamente perso in attrattività il Veneto (-2,5 punti centesimali di indice), che è stato scavalcato al 2° posto dall’Emilia Romagna, e il Lazio (-6 punti); regioni che – come si vedrà –hanno conosciuto anche una contestuale riduzione del proprio potenziale di integrazione (soprattutto il Veneto).
Tra le province, la massima attrattività è detenuta dalla lombarda Brescia (con un indice di 80,3, aumentato di 9 punti di scala rispetto al 2009), la quale precede Prato (79,6: indice sceso significativamente di quasi 5 punti), mentre altre 2 province lombarde, Bergamo (76,5) e Milano (73,8), al 3° e 4° posto, precedono a loro volta 2 contesti emiliano-romagnoli, Modena (65,0) e Reggio Emilia (63,2). A seguire, Roma, Mantova e Treviso chiudono la fascia delle regioni ad alta attrattività territoriale. Con 5 province tra le prime 10 (la decima è Varese, che segue immediatamente la citata Treviso), la Lombardia giustifica il proprio primato come regione a più alta attrattività per gli immigrati.
Le migliori condizioni complessive di inserimento sociale degli immigrati si registrano significativamente in 2 regioni medio-piccole a statuto speciale: il Trentino A. A. (che consta, in realtà, delle due Province Autonome di Trento e Bolzano, rispettivamente al 1° e all’8° posto della corrispondente graduatoria territoriale) e la Valle d’Aosta, che con valori pari rispettivamente a 77,3 e 70,4 (le uniche in 6 Italia a superare il tetto di 70 punti centesimali in questo indice di inserimento sociale) distanziano notevolmente le regioni che seguono.
Ancora una volta – come i Rapporti CNEL sono venuti rilevando con continuità – autonomia amministrativa e ridotte dimensioni geo-demografiche favoriscono l’inserimento sociale degli immigrati in loco, anche grazie a politiche di integrazione che, potendo essere più mirate alle esigenze specifiche del territorio, sono in grado di sostenervi con maggiore puntualità ed efficacia i processi di inserimento.
Alle 2 regioni di testa menzionate seguono, nell’ordine, l’Abruzzo (3° posto con indice di 63,1), le Marche (4° con 61,6), il Piemonte (5° con 61,0) e l’Umbria (6° con 60,2), a completare la fascia alta della graduatoria; mentre il Friuli V. G. (che nel 2009 era in testa alla stessa, ma con un indice – 71,6 – sensibilmente più basso di quello con cui il Trentino A. A. guida l’attuale graduatoria) viene subito dopo (7° con 59,7, per un calo di ben 12 punti rispetto al 2009) come prima regione di fascia media.
La situazione tra le province conferma, ancora una volta, che l’inserimento sociale degli stranieri trova condizioni migliori in contesti socio-urbanistici e amministrativi di ridotta estensione, “a dimensione d’uomo”, dove i ritmi di vita sono meno frenetici e competitivi, i rapporti sociali sono meno anonimi, le relazioni umane più immediate e quelli con le strutture meno appesantiti dalla burocrazia e dalla complessità che caratterizza invece i grandi agglomerati metropolitani.
Non a caso i valori più alti dell’indice (superiori a 70) si rilevano in province come Trento (75,4), Biella (71,3) e Lucca (70,1), tutte e tre con un indice di inserimento sociale comunque superiore a quello detenuto dal terzetto che guidava la graduatoria nel 2009 (rispettivamente: Trieste, Vicenza e Palermo, con valori compresi tra 69,9 e 69,6).
In generale, le regioni italiane che nel 2011 hanno offerto agli immigrati le migliori condizioni di inserimento occupazionale sono state, nell’ordine, l’Emilia Romagna e – sorprendentemente – la Liguria (le uniche in Italia a detenere un valore dell’indice superiore a 70 su scala centesimale: 73,8 la prima e 70,6 la seconda), seguite nell’ordine da Toscana e Lombardia (3° e 4° posto, entrambe con un indice di 69,4), quindi da Piemonte e – inaspettatamente – Sardegna (5° e 6° posto, con indici rispettivamente di 64,5 e 64,3). Chiudono il gruppo delle regioni ad alto livello di inserimento occupazionale degli immigrati (quelle, cioè, con un valore dell’indice compreso tra 60,1 e 80,0) il Friuli V.G. (7° con 61,9) e il Lazio (8° con 60,4).
A livello di province, questo indice occupazionale supera il valore di 70 solo in 3 casi, in testa alla relativa graduatoria: Imperia (72,0), Reggio Emilia (71,5) e Prato (71,3). È significativo di quanto, in questi anni di crisi, le condizioni di inserimento occupazionale degli stranieri a livello territoriale siano venute rendendosi generalmente più problematiche quando si consideri che, nel 2009, le province che superavano tale soglia erano ben 7 (nell’ordine: Reggio Emilia, Prato, Trieste, Firenze, Piacenza, Milano e Bologna) e che i valori di quelle di testa (almeno dal 79,4 di Reggio Emilia al 74,0 di Trieste) si distanziavano in misura maggiore da quella soglia.
Il Cnel stila quindi una classifica del potenziale di integrazione dei territori italiani. Con una constatazione: rispetto al 2009, anno di riferimento del Rapporto precedente, la geografia dei territori italiani a più alto potenziale di integrazione è sensibilmente mutata; e non solo perché la griglia degli indicatori si è ampliata e ulteriormente perfezionata, ma soprattutto perché a due anni di distanza – durante i quali la crisi economico-occupazionale è andata progressivamente acuendosi, assumendo sempre più un carattere sistemico – in Italia le condizioni di inserimento sociale e lavorativo degli immigrati (come, del resto, degli italiani) hanno conosciuto un generale e diffuso peggioramento.
In particolare, questo IX Rapporto attesta che la regione a più alto potenziale di integrazione degli immigrati è il Piemonte, con un indice (62,8) inferiore di ben 8 punti a quello (70,6) che nel 2009 consentiva al Friuli V.G. di guidare la stessa graduatoria. Attualmente il Friuli V. G. si colloca al 4° posto, con un indice (60,8) sceso di circa 10 punti rispetto al 2009, ed è preceduto – oltre che dal Piemonte – anche dall’Emilia Romagna (2a regione italiana a più elevato potenziale di integrazione, con un indice – 61,7 – calato di appena 1,4 punti rispetto al 2009) e dalla Liguria (3a con 60,9). L’Abruzzo e le Marche, rispettivamente al 5° e 6° posto con indici pressoché analoghi (60,2 e 60,1), completano il gruppo delle regioni di fascia alta nella graduatoria (quelle con valori dell’indicecompresi tra 60,1 e 80,0 su scala 1-100).
Macerata, Mantova e Imperia guidano – nell’ordine – la graduatoria tra le province, sostituendo rispettivamente Trieste, Prato e Reggio Emilia, che avevano i potenziali di integrazione più alti d’Italia nel 2009. Ma se Trieste primeggiava, allora, con un valore di 71,9 (mentre Prato e Reggio Emilia le tenevano dietro rispettivamente con 69,0 e 68,4), all’inizio del 2012 Macerata segna il primato con un indice di 66,4 (inferiore di 5,5 punti centesimali rispetto a quello di punta del 2009), con Mantova e Imperia pressoché in linea con il potenziale della provincia marchigiana (essendo i rispettivi indici – 66,2 e 65,9 – distanti, al massimo, appena mezzo punto centesimale rispetto al valore di testa).
Il Cnel conclude il suo rapporto con tre considerazioni. Innanzitutto, “in Italia non tutto va male, ma c’è bisogno di un forte impulso a livello di politiche di integrazione”. Inoltre, “la situazione degli immigrati dipende anche da quanto si fa a livello locale”. Infine, “anche il mondo sociale e la società civile, vanno incentivati a compiere un maggiore sforzo”.
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CNEL. IX Rapporto sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia