Roma – 13 marzo 2014 – Facebook non può far finta di niente di fronte al razzismo di cui è zeppo. Deve contribuire a debellarlo prendendosi le sue responsabilità, dandosi regole chiare e confrontandosi con la polizia, la politica e le associazioni che combattono i predicatori d’odio.
Ne è convinto Khalid Chaouki, deputato del Pd figlio di immigrati marocchini. Lui conosce bene i razzisti che affollano il social network, dei quali è vittima quotidianamente: ci sono quelli che creano pagine dove lo paragonano a un cammello, e quelli che riempiono di insulti la sua attivissima pagina Facebook.
“Da più di un anno – racconta a Stranieriinitalia.it – ho avuto a che fare con gruppetti razzisti che, in maniera più o meno organizzata, scrivono sulla mia pagina, creano gruppi dedicati e commentano con insulti e frasi razziste i miei post. In generale cerchiamo di dare spazio a tutte le opinioni, nel caso di frasi razziste che contengono volgarità provvediamo ad eliminarle. Il problema è che questa opera di selezione sembra essere diventata pressoché impossibile per l'attacco continuo e quotidiano”.
Può Facebook essere uno spazio senza regole? O di regole solo in teoria? Una sorta si spazio sovranazionale dove le leggi nazionali contro il razzismo non valgono?
“No, credo che proprio in questo ultimo anno tutti ci siamo resi conto che Facebook deve darsi delle regole, e queste regole devono essere chiare. Sono stati molti i gruppi razzisti nati contro l’ex ministra Cécile Kyenge, contro la presidente della Camera Laura Boldrini, e anche contro il sottoscritto. Tra l’altro questo tipo di razzismo è particolarmente odioso perché gli xenofobi si nascondono dietro un pc e usano nickname che non consentono di risalire alla loro identità. Il “Signor Facebook” dovrebbe reagire”.
Può valere come alibi il fatto che ci sono così tanti iscritti e che comunque i contenuti sono generati da loro, non da Facebook?
“No, mi sembra appunto solo un alibi. È la piattaforma Facebook che deve regolamentare gli utenti e quindi, se necessario, censurare violenze e razzismi. Altrimenti i social network rischiano, in taluni casi, degenerare in uno ‘sfogatoio’ degli istinti più bassi”.
L’Italia può chiedere a Facebook di intervenire con più efficacia, di darsi strumenti migliori?
“L’Italia dovrebbe senz’altro chiedere più controllo e anche maggiore attenzione a Facebook: molte volte le frasi segnalate non sono poi rimosse e molti gruppi razzisti continuano ad esistere nonostante le segnalazioni”.
Che armi ha la politica?
“La politica dovrebbe, per iniziare, aprire un serio dibattito sulla questione della libertà e della responsabilità sui social network, un confronto che deve coinvolgere in primis i gestori del maggiore portale, le autorità della Polizia Postale e le associazioni attive su questi temi. Bisogna affermare il principio che il razzismo non è più tollerabile nel web, sostenere il lavoro delle autorità di polizia e promuovere campagne di sensibilizzazione online”.
Quando si chiede di bloccare i contenuti razzisti, i razzisti lamentano che stanno esercitando la libertà di espressione… Non si rischia di passare per censori?
“Ci sono anche dei limiti alla libertà di espressione, ed emergono quando le dichiarazioni di uno infangano, offendono e ingiuriano l’altro. Tutto il resto è libertà di espressione e va sempre difeso, a maggior ragione quando non combacia con le proprie idee”.
Che ruolo possono avere gli altri utenti di facebook in questa lotta?
“Intanto sarebbe importante segnalare i razzisti. Facebook e gli altri social network rappresentano una grande possibilità di scambio e di comunicazione, gli utenti dovrebbero capire questa enorme potenzialità e interagire nel rispetto delle regole”.
Gli strumenti esistenti per la lotta al razzismo online bastano o ne servono altri? Sono anni che si invocano invano nuove norme contro i razzismo online
“Io credo che, innanzitutto, vada fatto un grande lavoro culturale, di sensibilizzazione, perché la discriminazione può essere eclatante e volgare – come vediamo sui social network – ma anche più sottile e non per questo meno insidiosa. La nostra è una società plurale, multiculturale, attraversata però da molte tensioni e questo perché, spesso, le leggi sono più indietro della società. Prendiamo per esempio la legge sulla cittadinanza. La nostra è un’Italia che è già cambiata, sotto tanti punti di vista, il nostro obiettivo è sollecitare il Parlamento a stare al passo con questa Italia”.
Credibile che si muova un parlamento dove i leghisti paragonano Cécile kyenge a un orango o chiedono a Chaouki di "tornarsene tra chi sgozza gli infedeli!"?
“Il Parlamento è – nel bene e nel male – lo specchio del Paese. Secondo me sono i leghisti a non essere più credibili, e certamente noi non siamo più disposti a tollerare la loro retorica razzista. Ma il nord si sta accorgendo dell’enorme vuoto che c’è dietro le loro urla, e io credo che le loro invettive contro di me o la collega Cécile non troveranno più terreno così fertile come nel passato”.
Elvio Pasca
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