Roma – 31 agosto 2012 – Molti ostacoli, ma anche molti dubbi pesano sulla regolarizzazionen in arrivo.
“Non ci sono le masse che c’erano nel 2009 a chiedere informazioni. C’è molta titubanza, circospezione. I prezzi di questa regolarizzazioni sono alti e tanti di quelli che arrivano ci dicono che il loro datore di lavoro non vuole presentare la domanda” racconta a Stranieriinitalia.it Maurizio Bove, responsabile immigrazione della Cisl di Milano.
Anche stavolta, è tutto in mano al datore di lavoro. “E se questo, dopo aver fatto la domanda, non porta a termine l’iter della regolarizzazione, non ci sono tutele per il lavoratore” aggiunge il sindacalista. “Era così anche nel 2009, abbiamo aperto una cinquantina di vertenze per casi di questo tipo e i lavoratori stanno ancora aspettando un permesso di soggiorno”.
Quale prova?
La domanda più frequente agli sportelli della Cisl? “Quali documenti possono essere considerati validi per dimostrare che si era in Italia alla fine del 2011. Noi per ora ci limitiamo a fare l’esempio di un figlio di via, di un referto di un pronto soccorso o di un timbro di ingresso in Italia sul passaporto, ma su altri tipi di prove rimane un grande punto interrogativo. Nel 1998 accettarono anche le tessere della associazioni, ma si scatenò un mercato piuttosto inquietante di affiliazioni…”
Stando all’ultima bozza, nemmeno il decreto interministeriale in arrivo affronta questo problema. E senza indicazioni dall’alto riguardo alla “documentazione proveniente da organismi pubblici” di cui parla la legge, c’è il rischio che tutto sia affidato alla discrezione degli uffici che esamineranno le domande, con situazioni a macchia di leopardo in Italia e una preoccupante mole di ricorsi in caso di bocciature.
Secondo Bove il problema è a monte. “Così è il caso che rende o meno regolarizzabile il lavoratore. Bisogna aver avuto la fortuna, si fa per dire, di finire in un pronto soccorso o di aver rimediato un figlio di via. Questa mentre il pacchetto sicurezza spingeva tutti i clandestini a tenersi lontanissimi dalla pubblica amministrazione. È incongruente”.
C’è il rischio che solo una parte marginale dei lavoratori possa davvero accedere alla procedura. “La sensazione – aggiunge l’esponente della Cisl – è che ci sarà una partenza a rilento, con un picco verso la fine. Ma quelle saranno le domande più sospette, presentate da chi è riuscito a trovare un datore solo all’ultimo minuto, chissà a che prezzo”.
Assindatcolf: “Ecco i dubbi delle famiglie”
I dubbi attanagliano anche le famiglie che vorrebbero regolarizzare una colf, una badante o una babysitter. L’ associazione dei datori di lavoro domestico Assindatcolf, sulla base delle telefonate arrivate alle sue sedi territoriali, rivela che il 78% degli utenti ha chiesto lumi “sulla condizione della permanenza dell’interessato in Italia almeno dal 331 dicembre 2011 e su come la stessa possa essere provata”.
Tanti si informano sulla sorte del contributo di 1.000 euro (il 68%), domandano cioè se lo stesso verrà restituito in caso di man-cata regolarizzazione e se serva anche a regolarizzare il versamento trimestrale all’Inps. Seguono richieste di chiarimento sul periodo da sanare (il 56%) e sul contratto di lavoro da applicare (il 54%), nonché sulla retribuzione e sulle altre condizioni contrattuali da applicare al rapporto domestico portato alla luce (il 49%).
Non mancano le perplessità sui problemi legali che si potrebbero affrontare in caso di autodenuncia non andata a buon fine (il 43%), mentre altri chiedono un consiglio su come comportarsi nel caso in cui la propria situazione (e quella del proprio lavoratore o della propria lavoratrice) non possa essere in alcun modo sanata (il 32%). Assindatcolf sottolinea quindi che “una pronta definizione del decreto interministeriale atteso proprio in questi giorni (era da adottarsi entro il 29 agosto) potrebbe fugare molti dei dubbi rilevati”.
Elvio Pasca