“Rischiano di rimanere fuori cinquantamila lavoratori. No al blocco degli ingressi legali, serve una programmazione più seria, fatta partendo dal territorio”
Roma – 25 luglio 2013 – Il governo deve fare di più per allargare le maglie della regolarizzazione, a cominciare da una “valutazione più inclusiva della prova di presenza”. È sbagliato bloccare gli ingressi legali con la verifica preventiva della disponibilità di lavoratori in Italia. Servono una programmazione seria del fabbisogno e un meccanismo di regolarizzazione permanente.
Piero Soldini, responsabile immigrazione della Cigl, commenta così le novità introdotte dal recente decreto legge sul lavoro.
Non considera una buona notizia il fatto che se il datore non aveva i requisiti o se intanto il rapporto di lavoro è già finito, il lavoratore avrà comunque il permesso di soggiorno?
“Quelle norme sono positive, ma anche nelle regolarizzazioni del passato, ci sono stati interventi a posteriori per cercare di tutelare i lavoratori quando la domanda veniva bocciata per mancanze del datore di lavoro. Tanti rischiavano di rimanere fuori, ora vengono salvati. Il governo non è però intervenuto sul vero nodo della regolarizzazione, quella prova di presenza in Italia che continua ad essere richiesta a tutti”.
Quanto pesa questo aspetto sull’esito della regolarizzazione?
“Dai dati che ci hanno presentato la scorsa primavera, veniva fuori che un terzo delle domande erano state bocciate proprio perché mancava la prova di presenza. Se la proporzione non cambia, alla fine avremo quasi 50 mila lavoratori che, per questo motivo, non potranno avere un contratto regolare e un permesso di soggiorno. Troppi”.
È però la legge a richiedere la presenza dal 2011 “attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici”. Come si può cambiare la legge a regolarizzazione chiusa?
“È difficile risolvere il problema completamente. Se si cambia la legge a posteriori si discrimina chi non ha presentato la domanda perchè non aveva la prova di presenza. Però si possono dare indicazioni per una valutazione più inclusiva, ammettendo anche altre prove, nel solco aperto dal parere dell’avvocatura dello Stato. Penso ad esempio a scontrini o a biglietti del treno o dei mezzi pubblici non nominativi, presupponendo una buona fede di chi li presenta. Bisogna entrare nell’ottica di salvare il più possibile la regolarizzazione”.
Ma con interventi di questo tipo non si rischia invece di certificarne il fallimento, le premesse sbagliate?
“È ora che si ammetta che è stata un fallimento. È stato sbagliato introdurre la prova di presenza, ma pure regolarizzare solo rapporti di lavoro dipendente a tempo pieno. Hanno fatto una regolarizzazione pensando al lavoro che non c’è, lasciando fuori quello che c’è: precario, occasionale, intermittente…”
Il decreto lavoro ha anche previsto che, prima di assumere dall’estero, bisognerà verificare presso il Centro per l’Impiego “l’indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale, idoneamente documentata”. Che ne pensa?
“È un modo per bloccare gli ingressi legali. Anche prima c’era quella verifica, ma dopo aver presentato la domanda e comunque, se il centro per l’impiego non rispondeva entro venti giorni, la procedura andava avanti. Adesso hanno cancellato questo meccanismo di silenzio-assenso e non è previsto un tempo massimo per la verifica”.
Secondo l’ultimo rapporto gli stranieri in Italia in cerca di lavoro sono 385 mila. Questa novità non tutela anche loro?
“L’attenzione ai disoccupati è prioritaria, ma bisogna muoversi in un altro modo, sul territorio, sentendo le parti sociali. Se a Treviso, per esempio, ci sono 800 lavoratori in mobilità e c’è richiesta di 1500 lavoratori da parte delle imprese, 800 li prendiamo di lì e da fuori ne facciamo arrivare 700. Questo lavoro di consultazione e programmazione a livello territoriale non si fa e allora si usa questa scorciatoia, gettando il peso sulle spalle del datore di lavoro. Si deve migliorare l’incontro sul territorio tra domanda e offerta di lavoro, senza per questo bloccare il canale degli ingressi legali”.
C’è insomma una carenza di programmazione?
“Se la programmazione è seria, io sono in grado di dare una giusta ricollocazione a chi è già in Italia ed eventualmente prevedere quote aggiuntive dall’estero. Invece ora faranno una programmazione corretta solo per l’ingresso di lavoratori formati in patria, che rimangono una quota residuale, e bloccano gli altri. Bisogna invece prevedere ingressi per chiamata, ma anche ingressi per ricerca di lavoro”.
Rimane il problema di chi è qui senza un permesso di soggiorno
“Non si può più pensare di risolverlo con norme transitorie e megasanatorie una tantum, che sono ingestibili. Bisogna invece prevedere una regolarizzazione permanente e ad personam dei lavoratori irregolari, che dovrebbero avere la possibilità di denunciare la loro condizione, anche attraverso il sindacato, e quindi ottenere un permesso di soggiorno. È la strada indicata dalla direttiva europea 52, che però la legge 109 del 2012 non ha recepito a pieno”.
Quella direttiva, però, prevede il rilascio del permesso di soggiorno solo in casi di particolare sfruttamento
“È vero. Se però io lavoro sottopagato, per più ore e senza le tutele previste da un contratto, non sono forse particolarmente sfruttato?”
Elvio Pasca