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Rimpatri, Sud America contro la direttiva Ue

Dai governi latinoamericani coro di proteste. Il provvedimento approvato dall’Europarlamento, "discriminante" e "barbaro"

Buenos Aires – 23 giugno 2008 – Fra i Governi dell’America Latina è vera e propria levata di scudi contro le misure restrittive approvate mercoledì scorso dall’Europarlamento. Al di là delle differenze politiche, presidenti e capi di Governo latino-americani hanno reagito con proteste forti, definendo in coro la direttiva rimpatri “discriminante” e “ingiusta”, quando non “barbara” e in “violazione dei diritti umani fondamentali”.

Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha mosso l’unica vera minaccia, quella di chiudere i rubinetti di petrolio. Ma con altrettanta veemenza Fidel Castro ha accusato l’Unione europea di “enorme ipocrisia” e di “metodi brutali” contro gli immigrati irregolari.

Il presidente boliviano, Evo Morales, non solo ha scritto una lettera aperta all’Unione Europea prima della votazione della direttiva, ma ha anche portato la questione all’attenzione della Comunità delle Nazioni Andine (Can) e ha promesso una “campagna internazionale” per esigere una revisione della norma europea. Il suo omologo ecuadoriano, Rafel Correa, ha detto da parte sua che “questa è una vergogna per questa Europa, che soleva essere l’Europa dei Lumi” e ha denunciato “il doppio discorso e la doppia morale dei paesi sviluppati, che esigono tante cose e poi si approfittano di noi”.

Da molte parti, insomma, si ripete lo stesso argomento: l’America Latina ha accolto milioni di immigranti europei che fuggivano dalla fame e dalla guerra, e ora i suoi cittadini si vedono chiudere la porta in faccia dal Vecchio Mondo, diventato prospero e pacifico. Una dichiarazione approvata all’unanimità dal Parlamento uruguayano parla di “una flagrante incoerenza da parte dell’Unione Europea, che ha nutrito di emigranti l’America Latina e ha tratto vantaggio dalla capacità di lavoro, l’onestà e lo sforzo di decine di migliaia di immigranti”.

Al coro si è aggiunto il presidente paraguayano, Ricardo Lugo, ricordando che “quando erano loro che avevano bisogno di accoglienza, li abbiamo ricevuti con le braccia aperte in America Latina, specialmente dopo le guerre mondiali, e nessun paese li ha rifiutati”. E per il governo brasiliano la “directiva del ritorno” è di fatto “una decisione che contribuisce a creare una percezione negativa della migrazione”, che “va contro l’auspicata riduzione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e una più ampia e piena convivenza fra i popoli”.

Sulla questione sono state mobilitate le principali organizzazioni regionali: il provvedimento – che la stampa locale ha battezzato la ”directiva del retorno” – sarà nell’agenda del vertice del Mercosur (Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay e Venezuela) in programma il 10 luglio a Tucuman (Argentina) e il Perù ha chiesto la convocazione di un vertice di emergenza dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa).

Anche il Sistema di Integrazione Centroamericana (Sic) ha annunciato una dichiarazione sulla contestata direttiva in occasione del vertice dell’organizzazione che si terrà la settimana prossima a El Salvador, su proposta del ministro degli Esteri dell’Honduras, Edmundo Orellana Mercado.

a.i.

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