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Salute. Per gli immigrati il cancro è più letale

Stili di vita errati e pochi controlli, gli oncologi lanciano l’allarme: “Serve più informazione”. “Puntiamo sulle seconde generazioni, possono fare da tramite con i genitori e cambiare culturalmente le famiglie”

Roma – 4 novembre 2011 – Il tumore uccide gli immigrati più degli italiani. A fare la differenza sono scarsa prevenzione, pochi controlli (soprattutto tra gli irregolari) e, di conseguenza, diagnosi che arrivano quando ormai è troppo tardi.

 

È l’allarme lanciato oggi dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), che ha organizzato a Bologna una giornata di studio dedicata alle “Problematiche oncologiche nei migranti: dall’emergenza alla gestione”. Seguiranno altri appuntamenti e opuscoli informativi tradotti nelle principali lingue ed adeguati alle diverse culture, da diffondere in collaborazione con altre Società scientifiche.

“Tra gli immigrati vediamo un aumento dei tumori più direttamente correlati a stili di vita errati (polmone, testa-collo, colon-retto, stomaco) ed al mancato accesso allo screening (collo dell’utero, seno e ancora colon retto). Questo si traduce in diagnosi tardive, che giungono quando la neoplasia è in fasi più avanzate ed è quindi più grave” spiega il presidente dell’AIOM,  prof. Carmelo Iacono.

“In questa popolazione – aggiunge – vi e’ poi un’incidenza maggiore di cancro al fegato che origina in gran parte dei casi da cirrosi dovute a forme di epatite B cronica ed e’ quindi più frequente in popolazioni che non hanno ricevuto la vaccinazione contro il virus, hanno vissuto in ambienti in cui questo prolifera o presentano altri fattori predisponenti (rapporti non protetti, abuso di alcol, ecc.)”.

Secondo il coordinatore degli Assessori della Sanita’ della Conferenza Stato-Regioni, Luca Coletto, “definito il sistema di protezione sanitaria dei migranti, è necessario verificare se l’offerta dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) dell’oncologia sia adeguata a questa specifica domanda. Le principali difficolta’ rilevate dagli stranieri sono relative a barriere linguistiche, scarsa conoscenza del funzionamento e delle modalità di accesso ed utilizzo del sistema sanitario e dalla distanza culturale con gli operatori”.

Un aiuto potrebbe arrivare anche dai figli degli immigrati. “Dobbiamo insistere sulla prevenzione, in particolare attraverso il coinvolgimento delle “seconde generazioni” – ha spiegato il prof. Marco Venturini, presidente entrante AIOM –  Si tratta di cittadini che parlano la nostra lingua, crescono in Italia, fanno da tramite per la traduzione, la comunicazione, l’informazione ai genitori e rappresentano una risorsa insostituibile come fautori del cambiamento culturale all’interno del nucleo familiare”.

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