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Salute: poca prevenzione tra gli immigrati

Inchiesta del Corriere.it. Serve più informazione, ma la denuncie negli ospedali taglieranno fuori i clandestini

Roma- 16 febbraio 2009 – Gli immigrati hanno in media una salute più forte degli italiani, ma sono ai margini per quanto riguarda la prevenzione. Colpa della scarsa informazione e della differenza culturale. Per gli irregolari c’è però anche la paura, che le scelte del Parlamento rischiano di rendere fondata.

È quanto rivela un’inchiesta pubblicata oggi nella sezione Sportello cancro di Corriere.it, che fa innanzitutto parlare i dati. Al pap test, spiega, si sottopone “poco più della metà delle donne straniere contro il 72 per cento delle donne italiane”. La situazione non cambia per le mammografie: “la esegue il 43 per cento delle straniere e il 73 per cento delle italiane fra i 50 e i 64 anni”.

“Ci sono barriere linguistiche e culturali alla comprensione delle campagne, spesso ci sono problemi più urgenti e la sensibilità per la diagnosi precoce è un lusso che qualcuno si può permettere e altri no. Infine, esiste una diversa idea della prevenzione; alcuni, come le donne dell’Est europeo, avevano già conosciuto nei Paesi d’origine programmi di prevenzione, per altri invece si tratta di un terreno sconosciuto” dice Gianni Saguatti, responsabile della diagnostica senologica dell’Ausl di Bologna.

Servono allora campagne mirate. Le esperienze fatte finora a livello locale sono promettenti.

In Piemonte, ad esempio, la campagna “Prevenzione Serena” contro il tumore dell’utero ha coinvolto i rappresentanti delle comunità e ha informato le donne straniere con opuscoli in lingua distribuiti su mezzi pubblici, in consultori, farmacie, studi medici, associazioni culturali, punti d’informazione per i cittadini stranieri. Risultato: in due anni il divario fra italiane e immigrate è scomparso.

Un altro ruolo chiave possono giocarlo i mediatori. “C’è un approccio diverso alla prevenzione perché sono diversi i concetti di salute e malattia. Una donna araba si chiede: “Se non sono malata, perché devo andare in ospedale?”racconta Kassida Khairallah, libanese, presidente dell’Associazione Multietnica Mediatori Interculturali.

Tutto però è più difficile con gli immigrati irregolari. Sulla carta, gli screening preventivi sono estesi anche a chi ha in tasca un tesserino Stp (straniero temporaneamente presente), ma non tutti gli ospedali hanno ambulatori Stp e spesso, scrive il Corriere, dirottano chi è senza permesso alle strutture gestite da associazioni umanitarie.

“Il diritto alla prevenzione per gli immigrati regolari è identico a quello degli Italiani. Per gli irregolari non esiste. Solo se c’è un segnale chiaro di patologia, come un nodulo al seno o la perdita di sangue nelle feci, il medico del pronto soccorso può prevedere un accertamento, si assegna un codice Stp e si procede” denuncia Fabrizio Signorelli, chirurgo volontario dell’associazione Naga.

Insomma, si arriva quando è già troppo tardi. E il futuro è ancora più fosco.

Una norma del ddl sicurezza, già passata in Senato, elimina il divieto di segnalazione dei clandestini che si curano negli ospedali. I medici hanno lanciato l’allarme da mesi: per paura di essere espulso, chi non ha un permesso di soggiorno non si curerà più. Quanti avranno allora addirittura il coraggio di andare in ospedale per un test preventivo?

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