Roma – 23 maggio 2012 – I carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale di Lecce hanno eseguito stamattina in Puglia e in altre regioni italiane una ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 16 persone, emessa dal gip del tribunale di Lecce Carlo Cazzella su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, con le accuse di associazione per delinquere, tratta e riduzione in schiavitu’ di persone, favoreggiamento dell’ingresso clandestino di stranieri e altri delitti.
Al centro dell’indagine condotta dal Ros, che ha riguardato le province di Lecce, Bari, Pisa, Caserta, Reggio Calabria, Palermo, Agrigento, Siracusa e Ragusa, c’è una organizzazione transnazionale costituita da italiani, algerini, tunisini e sudanesi dedita alla tratta e allo sfruttamento lavorativo di immigrati africani. Con la complicita’ di ‘caporali’ e ‘capi squadra-autisti’, i datori di lavoro avrebbero lucrato forti guadagni remunerando gli operai stagionali con paghe al di sotto della soglia di poverta’ e costringendoli a risiedere in alloggi fatiscenti, senza acqua corrente, servizi igienici e corrente elettrica.
Un “cartello” dello sfruttamento
Gli inquirenti parlano di un ‘sistema’ criminale ben organizzato, con i datori riuniti in una sorta di cartello dello sfruttamento. L’organizzazione era attiva a Nardò, in provincia di Lecce, ma anche a Rosarno (Reggio Calabria) ed in altre parti del Sud e reclutava cittadini extracomunitari, per la maggior parte tunisini e ghanesi, introdotti clandestinamente in Italia o comunque presenti irregolarmente, impiegati nella raccolta di angurie e di pomodori e mantenuti in condizione di soggezione continuativa.
L’inchiesta ha accertato il collegamento tra i reclutatori che operano all’estero e quelli che ricevono gli operai per destinarli al lavoro in fondi di proprieta’ di italiani. Spesso i migranti venivano collocati, e in qualche modo bloccati, in campi lontani diversi chilometri dai centri abitati. Non solo: erano costretti anche a pagare alcuni oneri come le spese di intermediazione, di alloggio e di vitto, di trasporto verso i campi che facevano esaurire presto i loro esigui fondi. A cio’ si aggiungeva il mancato o ritardato pagamento della retribuzione, corrisposta, quando cio’ avveniva, in misura decisamente inferiore a quella promessa, una circostanza che rendeva di fatto impossibile il ritorno in patria. Anche la sistemazione in alloggi fatiscenti non era casuale ed improvvisata dagli stessi lavoratori, ma in realta’ era gestita direttamente da datori di lavoro e caporali.
La paga oscillava tra i 22 ed i 25 euro al giorno, e l’orario era mediamente di 10-12 ore al giorno, senza soluzione di continuita’ per l’intero ciclo di raccolta. In pratica i migranti intascavano intorno a 2 euro all’ora. Una parte consistente del salario andava al caporale e/o all’intermediatore ed il resto era destinato alle spese per la sopravvivenza, che in realtà avrebbero dovuto essere soddisfatte dagli stessi datori di lavoro.
Le dichiarazioni accusatorie di alcune vittime sono state determinanti per la costruzione del quadro indiziario a carico delle 16 persone arrestate. Secondo quanto riferiscono gli inquirenti in una nota, le testimonianze sono ”dettagliate, coerenti e convergenti” e quindi ”attendibili, in quanto caratterizzate sempre da minuziosita’, precisione e soprattutto assenza di contraddizioni”.
Le intercettazioni: “Te li sfianco… morti di fame e di sete…”
Le intercettazioni telefoniche, eseguite insieme a numerosi servizi di osservazione e pedinamento, hanno peraltro fatto emergere chiaramente come fossero proprio i datori di lavoro italiani che, a monte, pretendevano ed imponevano condizioni lavorative disumane: ”Ora quelli te li sfianco fino a questa sera…”, si dice in una telefonata. Gli imprenditori si avvalevano, poi, dei ‘caporali’ o ‘capi cellula’, i quali, a loro volta, dettavano gli ordini ai ‘capi squadra’ loro subordinati, che poi commentavano: ”…soli sono stati! Morti di sonno, di fame e de… de sete….”; ”…e quelli volevano pure bere e non c’era nessuno che gli dava l’acqua”.
Gli stessi datori di lavoro temevano i controlli delle Forze di Polizia e degli Ispettori del Lavoro, proprio perche’ consapevoli, non solo della posizione irregolare di molti lavoratori, ma anche e soprattutto delle condizioni disumane in cui erano gli operai, condizioni di cui non solo erano consapevoli, ma di fatto erano direttamente responsabili.
Significative altre frasi intercettate, pronunciate da un datore di lavoro ad un caporale, riferendosi ai lavoratori che avevano osato lamentarsi per vari motivi: ”….Di’ alla squadra che ha rotto i coglioni domani la lascio a casa…”. ”Non mettere roba brutta nei cassoni….se no se non carico io ti devo mandare a casa pure a te, capito?”. ”…e mo’… e mo’… e mo’ rovino loro! M’ rovino loro che lascio tutti a casa. Mo’… Mo’ li lascio a casa e li rovino veramente io…” ”… e ma come voglio fare io… io… uno deve comandare, o devo comandare io perche’ io devo sapere come fare la roba la’ in mezzo, loro soltanto raccogliere come dico io devono fare…”.