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Se il governo scarica l’Unar e la lotta alle discriminazioni

Invece di ricordare a Meloni che non si possono penalizzare i musulmani, Palazzo Chigi le offre la testa del direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Tanto vale chiuderlo. O farlo diventare finalmente indipendente

 

 

 

Roma – 15 settembre 2015 – Si può discriminare un essere umano in base alla sua religione? La risposta è “no”. In Italia e in tutti i Paesi che riconoscono tra i diritti fondamentali quello di scegliersi il proprio Dio. Per forza. Senza possibilità di deroga. 

Solo dopo questa banale premessa si può ragionare sullo scontro tra Giorgia Meloni e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Uno scontro dove la ricerca di visibilità della leader di Fratelli d’Italia rischia di svuotare di ogni funzione quello che dovrebbe essere un baluardo a difesa delle minoranze e, più in generale, del senso di civiltà del nostro Paese. 

Ripercorriamo questa vicenda. A fine giugno Meloni pubblica su Facebook la sua articolata proposta per combattere il terrorismo in Italia: “Basta immigrazione da paesi musulmani”. “Porte chiuse- spiega – finché non avranno risolto i problemi di integralismo e violenza interni alla loro cultura”.

Meloni invita insomma a discriminare in base alla religione e anche in base alla nazionalità, visto che nei cosiddetti paesi musulmani qualche cristiano ci sarà pure. Si può fare? No. Punto. Lo dice la legge, lo dice la nostra Costituzione. Impossibile stupirsi, quindi, della lettera che le invia Marco De Giorgi, direttore dell’ Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

“Una comunicazione basata su generalizzazioni e stereotipi non favorisce un sollecito e adeguato processo di integrazione e coesione sociale” scrive De Giorgi. Quindi chiede a Meloni “di volere considerare in futuro, l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore”.

Tutto qua. De Giorgi fa solo il suo mestiere. Fa cioè quello che dovrebbe fare qualunque altro direttore di un ente nato per combattere le discriminazioni. Lettere di quel tipo, in un Paese in cui la retorica politica è troppo spesso una retorica xenofoba, l’Unar ne ha mandate tante. I politici richiamati raramente ci hanno fatto caso, ma almeno sono rimasti zitti, magari percependo un briciolo dell’onta di un’accusa di razzismo. 

Meloni invece che fa? Non si vergogna, non si scusa, non sta zitta, anzi. Grida al bavaglio, sostiene di avere il diritto di dire ciò che vuole e che un burocrate non può attentare alla libertà di espressione di un onorevole della Repubblica. Anche quando l’onorevole in questione spara su Facebook una bestialità che ribadisce l’equazione musulmani=terroristi. 

Meloni, a capo di un partito che all’ultime elezioni ha preso meno del 2%, afferra l’occasione per finire sui giornali. Chiede l’intervento del governo, tira per la giacchetta il Capo dello Stato strappandogli un incontro al Quirinale, pretende che la presidente della Camera la difenda. Vuole la testa di De Giorgi, la testa di uno che ha fatto, ripetiamolo, solo il suo mestiere. 

Quanto vale la testa di De Giorgi? Per il governo, a quanto pare, poco. La Presidenza del Consiglio, dalla quale dipende l’Unar, invece di difenderlo, scarica il direttore. Gli manda un’umiliante letterina nella quale gli ricorda i principi costituzionali della libertà di espressione e dell’insindacabilità dei parlamentari, gli chiede “chiarimenti” sulla sua iniziativa. E quando la ministra Boschi interviene sul caso in Parlamento, dice che si sta valutando un’eventuale azione disciplinare

Quello che il governo non fa è la cosa più semplice di tutte: ribadire che non si può discriminare e che l’Unar sta lì apposta, anche per ricordarlo a chi fa finta di essersene dimenticato. Sta lì per ricordalo a Giorgia Meloni quando dice “basta musulmani”, e per ricordarlo a qualunque semplice cittadino che volesse scrivere su Facebook o gridare in piazza “basta negri”, “basta omosessuali”. 

Ora nei corridoi si vocifera: “Non rinnoveranno il contratto a De Giorgi, ci sarà un cambio al vertice…” È vero? Forse no, ma di sicuro è vergognoso che il governo non si affretti a smentirlo. Perché in ballo non c’è solo la poltrona del direttore, ma l’intero Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. Perché se l’Unar non deve fare il suo mestiere, tanto vale chiuderlo. 

C’è in realtà un’altra strada da prendere e l’unico merito di questa misera vicenda è averla illuminata. 

L’Unar diventi un’authority indipendente, come l’Europa ci chiede dalla sua istituzione: non risponda più all’ipocrisia della politica, alla casta che si compatta e reagisce quando le chiedono di rispettare la legge, a un governo che non è in grado di difenderne l’imparzialità di giudizio e di azione. Faremo un passo avanti e forse diventeremo un Paese dove chi scrive “basta musulmani” dovrà almeno vergognarsi un po’. Almeno questo, stare zitto e vergognarsi un po’. 

Stranieriinitalia.it 

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