Roma – 29 novembre 2011 – “Un riforma della cittadinanza è ineludibile, il problema è in quale direzione andare. Chi nasce in Italia da genitori che soggiornano in Italia ha il diritto di essere italiano, ma deve sceglierlo, non può essergli imposto. Io credo che sia giusto che lo faccia a diciotto anni”.
È la posizione di Jole Santelli, vicepresidente dei deputati del Popolo delle Libertà. Intervistata da Stranieriinitalia.it, auspica su questo tema una discussione “senza steccati ideologici” e propone una “soluzione pragmatica”, che però, a conti fatti, ridurrebbe ben poco l’attesa dei figli degli immigrati per diventare a tutti gli effetti italiani.
Cosa cambierebbe della legge attuale?
“Il problema è accorciare le pratiche burocratiche che fanno sì che poi in realtà a diciotto anni non si abbia questa facoltà di scelta, ma che i tempi si dilatino di due o di tre anni. Però io credo, soprattutto alla luce dell’esperienza di altri Paesi, che sia giusto che il ragazzo scelga. L’automatismo può essere interpretato come un sopruso”.
Secondo lei i figli degli immigrati che nascono e crescono qui vivrebbero come un sopruso essere considerati italiani?
“Sì. Come un sopruso da parte dello Stato, come un privazione della propria identità. Pensiamo a quello che è accaduto in Inghilterra, dove molti ragazzi soprattutto di origine araba vogliono recuperare la loro identità, rifiutando l’identità occidentale che appare come imposta. Noi abbiamo a che fare per la prima volta con le seconde generazioni, in altri Paesi, dove sono già alla terza, c’è stata una protesta come ricerca identitaria. È meglio che la cittadinanza sia una scelta quando si è abbastanza consapevoli”.
Crede quindi che non esista da parte delle seconde generazioni questa richiesta di diventare subito italiani?
“Partendo dal presupposto che la cittadinanza ha come unico differenziale il voto e che in Italia non si vota prima dei 18 anni perchè si ritiene che prima di 18 anni non ci sia una maturità tale per decidere, mi sembrerebbe normale e automatico che la scelta della cittadinanza si eserciti nel momento in cui si può partecipare alla vita politica”.
Però intanto, fino a quando compiono diciotto anni, questi ragazzi nati e cresciuti in Italia sono appesi a un permesso di soggiorno come se fossero immigrati.
“Non è vero, perché il permesso di soggiorno si chiede solo a diciotto anni (fino a quell’età si ha un permesso collegato a quello dei genitori n.d.r ). Il problema è che ci siamo impastoiati in una serie di burocrazie per cui i tempi sono tali da mettere in imbarazzo i giovani. Allora potremmo snellire le pratiche e magari anticipare la richiesta ai 16 anni in modo tale che ai 18 anni serva solo una conferma . Però deve essere una scelta, non un’imposizione”.
Nascere e crescere in Italia ed essere egiziano solo perché è egiziano mia padre non è comunque una sorta di imposizione?
“Noi non dobbiamo costringere nessuno a tagliare le sue radici. Comunque non trattiamo questi ragazzi come immigrati, ma diciamo loro subito che se sono nati in Italia e crescono qui potranno decidere di diventare italiani. Bisogna anche porsi il problema del bambino nato qui la cui famiglia torna nel Paese d’origine dopo qualche anno: perché deve essere italiano? La cittadinanza è un diritto della persona o un riconoscimento da parte dello Stato”?
Secondo lei?
“Io ritengo che sia un riconoscimento da parte dello Stato a fronte di una richiesta”.
Elvio Pasca