Roma – 11 febbraio 2014 – “Facebook non consente i contenuti che incitano all'odio, ma attua una distinzione tra contenuti seri e meno seri. Se da un lato incoraggiamo gli utenti a mettere in discussione idee, eventi e linee di condotta, non consentiamo la discriminazione di persone in base a razza, etnia, nazionalità, religione, sesso, orientamento sessuale, disabilità o malattia”.
Non c’è bisogno di malizia per sorridere mentre si leggono gli “Standard della comunità di Facebook”. Chi ha un minimo di dimestichezza con il più frequentato dei social network sa che di contenuti che incitano all’odio ne fa viaggiare tanti, tantissimi.
Quello che pochi avrebbero il coraggio di sussurrare in pubblico, tantissimi non si fanno problemi a scriverlo su Facebook, sulle proprie bacheche o su quelle degli altri, magari segnalando e commentando una notizia. Anche chi ha centinaia di “amici”, considera Facebook come una sorta di diario segreto, dove dare sfogo ai suoi istinti più bassi, senza alcun freno.
Come segnalare i razzisti
È un Far West senza leggi. Però forse non tutti sanno che, se vogliono, in questo Far West possono indossare la stella dello sceriffo. Come? Segnalando a Facebook i contenuti razzisti, nella speranza che vengano rimossi o che gli utenti che li hanno pubblicati vengano bloccati.
Vediamo qualche esempio. “Diario. Accedi al diario che desideri segnalare; Clicca su
Non è il caso di temere ritorsioni da parte dei razzisti. "Quando qualcosa viene segnalato – spiega Facebook – la analizziamo e rimuoviamo tutto ciò che viola i nostri standard della comunità. Quando contattiamo il responsabile, non includiamo alcuna informazione sulla persona che ha compilato la segnalazione".
Cosa importante: si può seguire l’iter della segnalazione cliccando su “Riepilogo segnalazioni” nella sezione “impostazioni” del proprio diario. “Qui troverai lo stato del contenuto che hai segnalato, delle richieste da te effettuate o del contenuto segnalato da un altro utente. Ti contatteremo qualora dovessimo avere bisogno di ulteriori informazioni da te o quando avremo preso una decisione” assicura Facebook.
“Sei un negro se…"?
Fin qui la teoria. La pratica, infatti, può riservare qualche brutta sorpresa. Nei giorni scorsi, per esempio, la redazione di Stranieriinitalia.it ha segnalato a Facebook, utilizzando la procedura descritta sopra, tre diari, due gruppi (“Tutti i crimini degli immigrati” e “Sei un negro se…”) e una pagina (“Fuori tutti gli immigrati dall’Italia”) che ci sembrano zeppi di commenti razzisti.
Con i diari ancora non sappiamo come andrà a finire, per ora risultano attivi. Sui due gruppi e sulla pagina, però, Facebook ci ha risposto. Ecco come: “Grazie per il tempo dedicato alla segnalazione di un contenuto che secondo te potrebbe violare i nostri Standard della comunità. Le segnalazioni come la tua sono fondamentali per rendere Facebook sicuro e accogliente. Abbiamo analizzato il gruppo/la pagina che hai segnalato per la presenza di discorsi o simboli inneggianti all'odio e abbiamo stabilito che non viola i nostri Standard della comunità”.
Se sono gli stessi standard che citiamo all’inizio di questo articolo, ci chiediamo come faccia a non violarli un gruppo come “Sei un negro se…” Dove, scegliendo a caso, Selene Buscetta risponde: “se stupri ragazze bianche“; Mariagrazia Callegari: “il tuo posto è nella giungla con i tuoi cugini: le scimmie”; Monica Copes: “Allo zoo pensi che i tuoi figli sono stati ingabbiati”; Andrea Sonner: “Se sei mentalmente inferiore a un mulo”…
A questo punto sarebbe interessante capire chi valuta le segnalazioni degli utenti e, soprattutto, secondo quali linee guida. Il 22 gennaio lo abbiamo chiesto all’ufficio stampa italiano di Facebook, ma non ci hanno ancora risposto. Aspettiamo, fiduciosi, che ci diano lumi. Intanto, magari, controllino di nuovo e con più attenzione il gruppo “Sei un negro se..:”. Sicuri che rispetti il loro fumoso galateo?
Unar : “Razzismo sul web, frontiera difficilissima”
Anche l'ultimo rapporto dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali conferma che il web è zeppo d'odio.
Sui 659 casi di discriminazione su base etnico razziale segnalati all’UNAR nel 2012, la maggior parte (19,6%) riguardava i mass media, e tra questi internet la faceva da padrone. “Offese e messaggi stigmatizzanti nei confronti di specifiche comunità etniche o cittadini di origine straniera sono sempre più veicolati attraverso i nuovi media e i social network, con una percentuale del 71,3%, contro il 19,4% provenienti dalla stampa e il 5,4% dalla televisione” spiega il rapporto.
“L’hate speech oline è una frontiera difficilissima” ammetteva qualche settimana fa il direttore dell’UNAR Marco De Giorgi alla presentazione del libro “I giorni della vergogna, gli insulti a Cècile Kyenge e all’Italia”. “Un manifesto lo fai rimuovere, un articolo di giornale esce un giorno e poi non più. Ma quello che va su internet rimbalza e si moltiplica. Ottiene un’immensa visibilità, con la garanzia di un sostanziale anonimato. Il web è la sfida futura dell’Unar”.
Elvio Pasca