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Sicurezza: il pensiero unico dei media sull’immigrazione

Mentre in Europa gli avvenimenti in Libia sono stati trattati come episodi di guerra, in Italia sono stati affrontati dal punto di vista dell’immigrazione o dell’ “invasione”

ROMA, 12 settembre 2011 – Gli ultimi dati dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza (curato da Demos, l’Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis) parlano chiaro: nei telegiornali pubblici di prima serata di alcuni importanti Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna), nel corso dei primi quattro mesi del 2011, le notizie relative all’immigrazione hanno occupato solo il 3% del totale.

In Italia, e in particolare nel Tg1, la media è più alta, e sfiora il 14% (13,9% per la precisione). Questa percentuale è la stessa nei principali tg italiani, pubblici e privati.
Ma, mentre in Europa gli avvenimenti  come le rivoluzioni nordafricane e l’intervento in Libia sono stati trattati come fatti ed episodi di guerra in Italia sono stati affrontati, in modo specifico, dal punto di vista dell’immigrazione o dell’ “invasione”. Il primo e principale argomento utilizzato dalla Lega a sostegno della propria opposizione all’intervento in Libia.

Tuttavia, nonostante gli sbarchi e le guerre sull’altra sponda mediterranea, il divario fra l’agenda mediatica e le preoccupazione dei cittadini, infatti, resta elevatissimo.

LA PERCEZIONE SOCIALE
Secono i dati dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, “l’immigrazione è indicata come la preoccupazione principale dal 6% degli italiani”. Le cui angosce – spiega il rapporto – sono, invece, attratte, in grande misura, dai temi legati all’economia, l’occupazione, il costo della vita (55%). Lo sguardo mediale sugli immigrati appare, dunque, asimmetrico rispetto a quello della popolazione. Lo stesso avviene riguardo alla criminalità, che resta al centro dell’informazione televisiva (55% delle informazioni di prima  serata), mentre preoccupa una quota molto più ridotta della popolazione (10%).  Secondo Ilvo Diamanti, presidente di Demos “si tratta di una conferma della “costruzione” politica e mediale dell’insicurezza, che induce a enfatizzare la “paura degli altri” e a ridimensionare l’incertezza per motivi economici e (dis)occupazionali”.

Ma in questa fase – sottolinea Diamanti oggi su Repubblica –  che “gli altri” non si risolvano negli immigrati che giungono in Italia, spinti dalla necessità o dall’emergenza. In condizioni difficili, talora drammatiche. Oggi, in Italia, si sta diffondendo una sindrome dell’accerchiamento più estesa e indefinita. Ci sentiamo minacciati dall’esterno, da ogni fronte e da ogni direzione. Dalle rivolte e dalle guerre che avvampano nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Ma anche dall’Europa e, soprattutto, dalla Germania”.

“Noi, che abbiamo coltivato, a lungo, un’identità nazionale fondata sull’arte di arrangiarsi sulla capacità di adattarsi e di reagire. Noi che ci siamo considerati una società “vitale”, nonostante il governo, nonostante lo Stato. Oggi ci scopriamo spaesati, ci sentiamo stranieri a casa nostra” – conclude Diamanti.

 

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