Roma – 24 novembre 2011 – Da ieri i “bambini di Chernobyl” e tutti gli altri minori stranieri che arrivano in Italia grazie a programmi di solidarietà possono passare qui un mese in più.
Dopo il disastro della centrale nucleare sovietica, associazioni e famiglie italiane hanno accolto per brevi periodi dell’anno molti bambini e ragazzi che crescono nei luoghi contaminati dalle radiazioni. Trascorrere qualche mese in un ambiente più sano riduce il rischio che sviluppino malattie ed è l’occasione per una vacanza spensierata, durante la quale nascono legami di affetto e amicizia con chi li ospita.
I bimbi di Chernobyl sono gli esempi più famosi di quelli che la legge (un regolamento del 1999) chiama “minori accolti”. La definizione comprende ogni minore “non avente cittadinanza italiana, o di altri Stati dell’Unione europea, di età superiore a sei anni, entrato in Italia nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea promossi da Enti, associazioni o famiglie”.
Secondo le statistiche del Comitato dei Minori Stranieri del Ministero del Welfare, che gestisce i programmi di accoglienza, l’anno scorso i “minori accolti” in Italia sono stati oltre ventimila. Arrivavano soprattutto da Bielorussia (14mila) e Ucraina (3500), ma la presenza di bambini dei Paesi dell’ ex Jugoslavia, del Benin o dell’Algeria lascia intendere che non ci sono solo le conseguenze dell’incidente nucleare del 1986 a giustificare questi ingressi.
Un decreto in vigore da ieri ha esteso da novanta a centoventi giorni la durata massima annuale del soggiorno di ciascun bambino in Italia, che può risultare anche dalla somma di più periodi. Inoltre, il Comitato dei Minori, davanti a “casi di forza maggiore”, potrà proporre l’eventuale estensione della durata del soggiorno. Questo consentirà alla Questura di rinnovare o prorogare i permessi di soggiorno dei bambini e dei loro accompagnatori.
Elvio Pasca