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Sorpresa, l’Italia è (da un pezzo e serenamente) multietnica

La “normalità” dai dati della Caritas. Dobbiamo avere l’intelligenza di andare oltre la paura Roma – 10 novembre 2009 – Chissà se i dati riusciranno, prima o poi, a depotenziare o almeno scoraggiare una delle diatribe preferite della nostra politica: la baruffa sulla società multietnica. Da due decenni, come se fosse sempre il primo giorno, si elevano voci apocalittiche sulla tragedia della contaminazione che ci farà perdere l’identità. È la versione moderna del tormentone degli anni ’40 e 50, “i cosacchi abbevereranno i loro cavalli a San Pietro. Oggi al posto dei cosacchi ci sono i musulmani, che prima ci colonizzeranno e poi ci cacceranno via. Ci sono ancora oggi partiti che promettono ai loro elettori che fermeranno l’invasione.

Il dossier Caritas 2009 conferma che, mentre le sciabole tintinnano, la società italiana è multietnica da un bel pezzo. E lo è senza particolari traumi, se si eccettuano le tensioni dovute alla criminalità comune ed al fanatismo religioso. Due questioni, però, che non attengono tanto all’etnia quanto alla capacità di un paese di garantire sicurezza e controllo del territorio. Se non siamo in grado di tenere in carcere gli stupratori e gli sprangatori italiani, è comprensibile, anche se mai giustificabile, il lassismo verso i criminali stranieri o i padri che massacrano le figlie nel nome del Corano.

Ciò che colpisce, nel volume Caritas, è il senso di normalità che trasmettono le cifre. Sembra di vivere in un altro mondo, rispetto a quello, ansiogeno ai limiti dell’isteria, in cui ci proiettano le cronache di tutti i giorni e le relative polemiche politico-ideologiche.

Vediamone alcune, di queste cifre. Quattro milioni e mezzo di immigrati regolari (+13,4% rispetto all’anno precedente). Sono tanti? Certo. Ma sempre meno che in Spagna (5 milioni, 8,2 della popolazione) o in Germania (7 milioni, 11,7 della popolazione). E se negli ultimi anni la crescita degli immigrati è stata di 3-400mila l’anno, sia con la destra sia con la sinistra, viene da chiedersi che conseguenze concrete abbiano certi scontri di propaganda. Del resto, il bilancio dell’Italia è in attivo anche sul piano dei conti: a fronte di una spesa pubblica (sanità, istruzione, previdenza) che per gli stranieri è pari al 2,5%, da loro viene un gettito del 5%. Ricevono meno di quello che danno, ha osservato con asciutta logica il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Altro numero significativo: degli immigrati italiani regolari, la metà sono stati in passato clandestini. È un dato che getta una luce diversa sulla clandestinità, oggi diventata un reato. Si potrebbe chiedere al Legislatore: è reato non avere il permesso in regola, e intanto lavorare e pagare le tasse, o è reato essere regolarissimo e la sera frequentare le scuole di terrorismo oppure vessare con la violenza moglie e figli?

Ancora. Gli stranieri sono il 7,2% dei residenti italiani, ma se si fa riferimento ai giovani fino a 39 anni diventano il 10%. È un’altra conferma. La nostra società cresce e si ringiovanisce grazie a queste nuove leve: non a caso, il 12 per cento dei nuovi nati nel 2008 è straniero. È un fatto che può far riflettere, anche preoccupare perché segnala una certa sfiducia e stanchezza dell’essere italiani. Ma è anche la prova di un contributo di vitalità e voglia di futuro che ci viene dall’immigrazione. Non a caso nel 2008 i matrimoni misti sono stati oltre 20mila. E per uno che non regge, altri 9 vanno avanti bene.

Quarta cifra rilevante: i romeni sono 800mila, un sesto del totale. Ma i romeni sono cittadini comunitari. I guai derivanti da un’immigrazione così massiccia, quindi, derivano non dai decreti flussi e neppure dalla società multietnica, ma dalla fretta di rendere operativo il trattato di Schengen. Senza prevederne le conseguenze, senza prepararsi adeguatamente.

Se poi veniamo alla distribuzione geografica, si conferma la clamorosa sproporzione tra Nord (62,1%), Centro (25,1%) e Mezzogiorno (12,8%). L’immigrazione è soprattutto un fenomeno lavorativo, una ricerca di sbocchi di vita. Quindi va dove c’è il lavoro, e pazienza se lì ci sono pure i colonnelli leghisti (il 23 degli immigrati è in Lombardia). Anzi, si può star certi che quei politici saranno tanto furbi da tuonare in pubblico e stendere tappeti rossi in privato. Sanno bene quanto l’economia della Padania abbia bisogno di quella forza-lavoro.

Ma forse il dato più prezioso, perché investe il futuro, è che gli alunni stranieri sono oltre 600mila. Spesso si tratta di stranieri per modo di dire. Sono bambini che non hanno mai conosciuto le loro terre d’origine, né l’asprezza della vita che vi facevano i loro genitori, né il trauma di fuggire, imbarcarsi, rischiare la vita, fare il clandestino. Sono ancora pochi, ma sono una speranza.

Se, come dice la Caritas, nel 2050 gli stranieri in Italia saranno oltre 12 milioni, dobbiamo avere l’intelligenza e l’umanità di andare oltre la paura, la razza, la religione, le diversità. Investire su di loro: pretendere, ma anche credere in loro. Solo per questa via nel 2050 avremo un paese più ricco e non una polveriera accesa dal rancore.

Sergio Talamo

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