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Storie di “cittadini di serie B”: cosa devono affrontare gli italiani senza cittadinanza

Roma, 22 febbraio 2023 – Chi la cittadinanza ce l’ha e l’ha sempre avuta forse non capisce quanto questa sia importante, quanto sia fondamentale anche per le più piccole azioni del quotidiano. I giovani figli di stranieri, i cosiddetti italiani senza cittadinanza, invece, sono vere e proprie vittime di un sistema arcaico che non li tutela. E le loro storie lo dimostrano.

Cittadinanza italiana, storie di “cittadini di serie B”

Il mio primo ricordo legato alla cittadinanza risale a quando avevo nove anni ed ero in fila con i miei genitori davanti alla questura. Ero felicissima perché potevo saltare la scuola e mi trovavo in quella avventura con mio padre e mia madre, in un ufficio dove mi sentivo anche un po’ importante visto che dovevo fare da interprete speciale. E’ un evento che però ti segna. Oggi mi ritrovo a chiedermi perché i miei compagni stavano in classe mentre io a quell’ora stavo in fila alle sette del mattino su un marciapiede al freddo?”, ha raccontato infatti Deepika a Sky Tg24. La sua è la storia di tanti giovani, figli di stranieri, costretti ad aspettare anni e anni per vedersi riconoscere quello che dovrebbe spettargli di diritto, in quanto persone nate e cresciute in Italia: la cittadinanza.

Parliamo di figli di genitori stranieri che sono nati o cresciuti in Italia, che hanno vissuto esclusivamente sotto giurisdizione italiana e che nel Paese dei loro genitori non hanno mai abitato. Dovrebbero essere tecnicamente e, secondo me anche giuridicamente, considerati cittadini italiani. In Italia al 1° gennaio 2020 i ragazzi minorenni di seconda generazione in senso stretto (nati in Italia da genitori stranieri) sono oltre 1 milione, il 22,7 per cento dei quali (oltre 228 mila) ha acquisito la cittadinanza italiana”, ha spiegato l’avvocato e Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli Hilarry Sedu.

Che si parli di giovani nati o cresciuti in Italia, la situazione è più o meno la medesima. Sono infatti più di 300mila i minorenni arrivati in Italia dopo la nascita, e di questi solamente il 20% risulta naturalizzato italiano. Se si parla di nati in Italia, ci si può rifare alla legge n.91 del 1992, che prevede la richiesta della cittadinanza solo una volta maggiorenni. E solo se si è vissuti legalmente e ininterrottamente nel Paese fino al compimento dei 18 anni. Per tutti gli altri, invece, l’unica possibilità è quella di dimostrare di aver abitato qui per almeno 10 anni. In ogni caso, però, la burocrazia è lenta e complicata, e spesso mette i bastoni fra le ruote a questi ragazzi. Giovani che quindi si sentono dire un no dopo l’altro, anche solo per fare una gita con la scuola.

Il dramma della burocrazia

“Sin da bambino ho riempito moduli. Tempo fa bisognava indicare la data di accesso in Italia. Il che significa che l’utero di mia madre era la frontiera. Io sono nato qui e il mio compleanno , il mio giorno di nascita, è anche il giorno di accesso in Italia. Ho capito poi che la cittadinanza è una concessione. Non un diritto e questo è stato presto chiaro”, ha raccontato Valentino, che oggi ha 35 anni. Da quando ha iniziato a richiedere la cittadinanza italiana sono passati 17 anni. Eppure lui è nato a Roma, certo da genitori nigeriani, ma qui è cresciuto. Ha seguito i genitori nei viaggi di lavoro tra l’Italia e gli Stati Uniti, ma il nostro è il Paese che chiama casa.

Nonostante questo, però, la sua prima richieste venne respinta perchè non riuscita a soddisfare uno dei requisiti fondamentali: un reddito non inferiore a 8.300 euro per almeno tre anni consecutivi precedenti all’invidio della domanda.

“All’epoca avevo il permesso di soggiorno per motivi di studio e con quello non potevo lavorare legalmente per più di 24 ore settimanali. Era impossibile per me arrivare al minimo statale richiesto. E non potevo integrare il mio reddito con quello dei miei genitori, che nel 2000 si sono trasferiti prima in Africa e poi negli Stati Uniti”, ha spiegato a Sky Tg24. Così si è laureato, e poi ci ha riprovato. “Mi sono detto ‘adesso cerchiamo di risolvere questa situazione burocratica’. Ma non ho potuto perché dopo la laurea cercavo lavoro, col permesso di soggiorno scaduto per motivi di studio, e nessuno mi voleva assumere. Allo stesso tempo, non potevo fare un nuovo permesso perché non avevo un contratto di lavoro. Mi sono trovato in un limbo“.

La burocrazia, la frustrazione di non essere riconosciuto, alla fine lo hanno convinto ad abbandonare l’Italia: “Sono andato negli Stati Uniti e dopo un breve iter ho ottenuto la cittadinanza. L’America mi ha offerto quello che l’Italia non poteva offrirmi“.

La difficoltà nell’ottenere la cittadinanza italiana, però, non compromette solamente il loro futuro, ma anche quello del nostro Paese. A perdere è anche l’Italia. “Rendere così difficile ottenere documenti italiani per i giovani richiedenti ha un impatto stupidamente negativo sull’Italia. La legge stessa obbliga il genitore straniero a mandare i figli a scuola. Questo vuol dire che lo Stato ha investito su di loro, li ha fatti studiare e formare da cittadini italiani. Sono quegli stessi ragazzi che, raggiunti i 18 anni, dovrebbero cominciare a essere produttivi per se stessi e per il Paese”, ha infatti giustamente sottolineato l’avvocato Sede.

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