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Tassa sui permessi. “Ecco perché è incostituzionale”

È sganciata dalla capacità contributiva, fa pagare agli immigrati regolari attività a vantaggio di tutti, penalizza i precari… I punti principali del ricorso presentato da Inca e Cgil

Roma – 24 febbraio 2012 – Il “contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno” non è linea con la Costituzione.

È quanto sostiene il ricorso al Tar del Lazio presentato il 22 febbraio da Inca e Cgil. Chiede quindi che il decreto che ha istituito la nuova tassa venga annullato e che, in attesa della decisione definitiva del giudice, ne vengano sospesi gli effetti.

Qui di seguito i promotori del ricorso, che si sono affidati agli avvocati Vittorio Angiolini, Luca Santini e Marco Cuniberti, spiegano le argomentazioni a sostegno della loro azione legale:

 

“Il contributo è stato fissato sulla base della durata dei permessi di soggiorno. E’ pertanto del tutto sganciato dalla capacità contributiva dei richiedenti, ed essendo di “indole tributaria”, viola il principio dell’art. 53 della Costituzione, che stabilisce che tutti debbono concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva.

Appare evidente che essendo il contributo imposto sulla base della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno, questo di per se non definisce alcun sintomo di ricchezza, né il contributo pagato per la destinazione che ha, offre alcun vantaggio futuro allo straniero che è costretto a versarlo.
Inoltre il contributo è un prelievo tributario particolarmente odioso, illegittimo e discriminatorio, in quanto colpisce esclusivamente gli stranieri regolarmente soggiornanti, imputando loro i costi di attività che sono a vantaggio dell’intera collettività.

Infatti il gettito derivante da questo contributo confluisce per il 50% nel “Fondo rimpatri” (come stabilito dall’art. 14-bis del Testo Unico). Ma questo Fondo non giova sicuramente allo straniero che chiede il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto potrebbe restare in Italia a tempo indeterminato.

Inoltre in questo modo gli stranieri regolari contribuiscono in misura differente dagli altri cittadini alle spese di rimpatrio, spese sostenute non nell’interesse degli stranieri, ma dell’intera collettività e quindi a carico della fiscalità generale. I costi dell’immigrazione irregolare pertanto vengono addebitati in misura significativa proprio a coloro che si impegnano e si sforzano per rimanere nella regolarità.

Inoltre la convenzione OIL n. 143/75 ha stabilito che in caso di rimpatrio il lavoratore e la sua famiglia non devono sostenere i costi del rimpatrio. Se perciò non è consentito accollare questi costi agli stranieri irregolari appare ancora più irragionevole accollarli ad uno straniero regolare, il quale – oltretutto – è oggetto alla stipula del contratto di soggiorno, che prevede un impegno da parte del datore di lavoro a sostenere le spese di rientro nel paese di provenienza, secondo quanto stabilito dall’art. 5 bis del Testo Unico.

Ancora più irragionevole ed illegittimo è che i costi del contrasto all’immigrazione irregolare non sono addossati in forma di una tantum, ma sono dovuti ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno. Pertanto più tempo permane lo straniero nel nostro Paese, più dovrà versare.

In merito all’ulteriore impiego del 50% del gettito, che l’art. 14-bis del Testo Unico destina a sostenere gli oneri connessi alle attività istruttorie per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, occorre evidenziare che il Decreto ha dettato previsioni in parte difformi, destinando il 70% di questa quota ad attività che nulla hanno a che fare con le attività per i rilasci e i permessi di soggiorno, e soltanto una parte assolutamente residua al fine stabilito, violando quanto stabilito dal Testo Unico.

Ma anche qualora il decreto avesse rispettato quanto stabilito dal Testo Unico, occorre evidenziare che gli stranieri già sostengono i costi relativi all’espletamento delle procedure, con l’importo di 30 euro, che viene incassato attraverso Poste Italiane.

Illegittimo pertanto appare la “duplicazione” del contributo, oltretutto variabile sulla base della durata del permesso di soggiorno (laddove le attività istruttorie sono uguali per tutti), quando il Testo Unico si era limitato a fissare una misura minima e massima.

La scelta di graduare l’ammontare in base alla durata è senz’altro irragionevole e discriminatoria in quanto colpisce maggiormente i lavoratori precari che versano in situazioni economiche più difficili. Questo perché lo straniero che si trova a dover rinnovare il permesso di soggiorno più volte nell’arco dell’anno, avendo per contratti di lavoro di tipo stagionale o interinale, pagherà cifre di gran lunga più elevate di colui che avrà un permesso annuale o biennale”.

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