Roma – 14 febbraio 2012 – Maroni e Tremonti resteranno delusi. Se la tassa sui permessi di soggiorno serviva a rimpinguare le casse dello Stato sta fallendo il suo obiettivo. Per ora la maggior parte degli immigrati si guarda bene dal pagarla e attende le modifiche annunciate dal governo.
Non sfugge certo al balzello chi arriva oggi in Italia per la prima volta, ad esempio con un ricongiungimento familiare: passata la frontiera, ha otto giorni per chiedere il suo primo permesso di soggiorno. Il rinnovo del permesso, invece, va chiesto “almeno sessanta giorni prima della scadenza” e la legge non indica un termine prima del quale non si può presentare domanda.
Così, prima del 30 gennaio, quando è entrata in vigore la tassa, tanti si sono precipitati a rinnovare il loro permesso per evitarla, anche se la scadenza era lontana. Gli altri sono pronti ad aspettare fino all’ultimo minuto utile di quel sessantesimo giorno e intanto pregano che il ministro Anna Maria Cancellieri passi dalle parole ai fatti, perlomeno riducendo il salasso.
Una tendenza confermata da Qamil Zeinati, della Uil di Prato: “Prima presso i nostri sportelli preparavano una decina di domande al giorno. A gennaio c’è stato un boom, adesso siamo quasi fermi. Dal primo febbraio a oggi ne abbiamo fatte appena una quindicina. Nessuno vuole pagare questa tassa, tutti la considerano fortemente ingiusta”.
“Molti – aggiunge Zeinati – non hanno proprio i mezzi per pagarla. Abbiamo diversi casi di persone che hanno perso il lavoro e pur di rinnovare il permesso si sono fatti assumere come domestici da familiari o amici. In queste situazioni pagare cento euro in più per un permesso è pesantissimo. C’è il rischio che si creino clandestini e sta montando una grossa protesta”.
Alla Cisl di Milano non hanno notato flessioni di pubblico, anche perché gli appuntamenti erano già fissati, ma naturalmente stanno informando gli utenti che c’è un confronto aperto con il ministero dell’Interno per rimodulare il contributo. “Intanto, venerdì abbiamo partecipato al presidio davanti alla Prefettura per protesta contro la tassa e per chiedere di allungare la durata dei permessi per attesa occupazione” dice il responsabile immigrazione Maurizio Bove.
Proprio per chi non ha più un lavoro, spiega il sindacalista, il nuovo contributo è particolarmente odioso. “Chi ha perso il posto, e con la crisi succede sempre più spesso, deve chiedere un permesso di sei mesi per attesa occupazione e quindi pagare ottanta euro in più di contributo. Se entro sei mesi troverà un nuovo lavoro dovrà chiedere un altro permesso di soggiorno e quindi pagare di nuovo la tassa”.
Anche Mohammad Reza Kiavar, copresidente dell’ Anolf Cisl di Torino, ha notato che i rinnovi sono congelati. “Noi lavoriamo per appuntamento e chi ha già un giorno prenotato viene e si fa compilare la domanda dai nostri operatori. Poi però non va a presentarla all’ufficio postale, tanto il modulo non scade e intanto potrebbero arrivare le modifiche”.
Non c’è il rischio di aspettare inutilmente? “Il fatto che la tassa sia entrata in vigore, nonostante gli annunci di Cancellieri e Riccardi, ha deluso molti. Però – sottolinea Kiavar – la sensazione diffusa tra i nostri utenti è che le cose cambieranno. C’è un clima di fiducia, una speranza per l’atteggiamento di questo nuovo governo verso gli immigrati che non registravamo sotto il governo precedente”. Una spinta in più, per il nuovo esecutivo, a mantenere le promesse.
Elvio Pasca