Roma – 5 gennaio 2012 – I colpevoli sono quelli di prima, Roberto Maroni e Giulio Tremonti c’hanno messo anche la firma, ma il nuovo governo rischiava di diventare un ossequioso complice.
Ben venga, quindi, la revisione del “contributo per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno” annunciata ieri dal ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri e dal ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi, anche se per una valutazione oggettiva bisognerà attendere le effettive modifiche. Sarà infatti comunque difficile digerire ogni euro in più fatto pagare agli immigrati, rispetto ai settanta sborsati finora, per un servizio senza dubbio inefficiente.
La storia di questa tassa, del resto, è quella di una figlia negletta, della quale vergognarsi. Già durante la discussione della legge sulla sicurezza che l’ha istituita nell’estate del 2009 (senza però renderla immediatamente operativa) fu uno dei punti che sollevò più critiche, ma forse impallidiva al confronto di altrie proposte, con i leghisti che ad esempio pretendevano che i medici denunciassero i pazienti clandestini o che i presidi si mettessero a caccia dei loro figli tra i banchi.
Medici e presidi spia rimasero delle pericolose sparate, ma la legge approvata definitivamente con i voti del centrodestra introdusse un nuovo articolo nel Testo Unico sull’Immigrazione articolo che recita: “La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento”.
Poi, più nulla. Né dal Viminale nè da via XX settembre. Per oltre due anni, mentre la Corte Costituzionale demoliva buona parte delle novità volute da Maroni & co. e il reato di clandestinità si rivelava uno spauracchio in grado solo di ingolfare ulteriormente i tribunali, quel decreto non è venuto alla luce. E la nuova tassa è rimasta sulla carta.
Non era difficile scrivere i dettagli della novità. Bastavano pochi articoli per definire gli scaglioni e le modalità di versamento del nuovo contributo. “Tutto fermo” ribadivano però fino a qualche mese fa i tecnici dei due ministeri impegnati nell’impresa, lasciando intendere che non c’era poi un grosso pressing politico per terminare il lavoro.
Forse si aspettava che la macchina burocratica dei permessi di soggiorno funzionasse meglio. Intanto, però, i venti giorni fissati dalla legge per il rilascio dei documenti sono rimasti un traguardo apparentemente irraggiungibile, tanto da far sembrare ingiusta anche la spesa di oltre settanta euro a testa (marca da bollo da 14,62 € + versamento da 27,50 € + 30 € di spese postali) già imposta agli immigrati.
Il 6 ottobre scorso, quando il governo era agonizzante e Berlusconi litigava con Tremonti, il ministro ha trovato il tempo di firmare con il collega Maroni il decreto che trasforma in realtà il nuovo balzello. Strano che a quella firma, contrariamente ad altri straproclamati interventi sull’immigrazione, non sia stata data pubblicità. Ad essere maliziosi, verrebbe da pensare che la tassa fosse diventata una patata bollente anche per chi l’aveva ideata.
Si arriva così, in silenzio, a sabato 31 dicembre. Il colpo di coda del governo Berlusconi appare in Gazzetta Ufficiale quando ormai a Palazzo Chigi c’è un nuovo esecutivo e nelle case ci si prepara al cenone. È l’ultimo dell’anno e quindi il giorno dopo non usciranno i giornali. Altra passerella sbadatamente negata a un provvedimento così incisivo.
Lunedì, però, la bomba scoppia. Pdl e Lega tacciono, il resto d’Italia si indigna. Il governo Monti si accorge dell’eredità ingiusta e avvelenata che dovrà gestire e prova a correre ai ripari. A questo punto Pdl e Lega si svegliano, si arrabbiano e difendono la figlia che si erano dimenticati di avere: ma se a quella tassa ci tengono così tanto, perché non l’hanno fatta entrare in vigore prima?
Elvio Pasca