Roma – 4 novembre 2011 – Mentre le avventure di Tintin arrivano in tre dimensioni nei cinema di tutto il mondo, il reporter giramondo creato da Hergé torna sotto i riflettori anche per le accuse di razzismo.
Si discute di nuovo su Tintin in Congo, albo della serie ambientato nel paese centroafricano che raccoglie le strisce a fumetti uscite a puntate tra il 1930 e il 1931. Sicuramente in quegli anni pochi si stupirono che gli indigeni, allora schiacciati dal colonialismo belga, fossero rappresentati come stupidi o feroci selvaggi.
L’anno scorso un cittadino congolese si è rivolto (invano) al tribunale di Bruxelles per far ritirare dalle librerie le copie dell’albo. “L’aiutante di colore di Tintin è presentato come una persona stupida e senza alcuna qualità. Ciò induce i lettori a pensare che i neri siano poco evoluti” denunciava, segnalando anche una scena nella quale una donna di colore si genuflette davanti a Tintin dicendo: “L’uomo bianco è buono, è un grande capo…”.
Qualche anno fa, polemiche simili avevano convinto alcune librerie del Regno Unito a spostare “Tintin in Congo” nella sezione dei fumetti per adulti, ma in questi giorni l’editore Egmont Uk ha fatto di più. Vende l’albo in un involucro protettivo, simile a quello utilizzato per le riviste porno, con un’avvertenza: “Nel suo ritratto del Congo belga, il giovane Hergé riflette gli atteggiamenti coloniali del tempo. Ha rappresentato gli africani secondo i borghesi, paternalistici stereotipi del tempo, un’interpretazione che qualcuno dei lettori di oggi potrebbe trovare offensiva”.
Scelta giusta o esagerato e antistorico politically correct? Di sicuro è un’ottima pubblicità per rilanciare le avventure congolesi del sempre giovane (e chissà se razzista) Tintin.
Elvio Pasca