Roma, 8 gennaio 2023 – L’inizio dell’anno a Torino è caratterizzato da un esempio tangibile di solidarietà e integrazione, attraverso il modello di accoglienza diffusa per le famiglie di migranti. La Città Metropolitana di Torino, infatti, ha recentemente sottolineato il successo di questo approccio, unendo pubblico e privato, enti e famiglie, nel supporto a persone in cerca di sicurezza e opportunità.
Migranti, il modello Torino
Federico Savia e sua moglie Alice Arpaia, membri delle Famiglie Accoglienti, hanno trasformato la loro casa a Piobesi Torinese in Casa Aylan nel 2019, in memoria del bambino curdo diventato simbolo del dolore dei migranti. La loro dimora ospita attualmente un ragazzo libanese, uno del Gambia e tre egiziani. “Siamo d’accordo che il modello di accoglienza diffusa sia importante, però si tratta solo del primo passo. Trovare una casa, dopo il periodo di emergenza, è ancora la difficoltà maggiore. L’accoglienza avvia il percorso verso l’indipendenza. Bisogna che i potenziali affittuari abbiano precise garanzie che li portino a non lasciare vuote le case, invece di affittarle ai migranti”, ha spiegato Federico, intervistato da Repubblica.
Trovare una casa, infatti, è spesso più difficile che trovare un lavoro. “Qualcosa da fare si rimedia sempre, o concludendo gli studi o iniziando un percorso di avviamento professionale. La parola famiglia è quella che fa la differenza, perché crea una rete di relazioni anche affettive, non solo pratiche o materiali che pure contano. Avere attorno un contesto familiare rende un po’ meno difficili le cose quando si diventa maggiorenni. Prima di quel momento, i minori sono comunque più tutelati. Dopo, può essere un salto nel buio”, ha raccontato poi Federico.
I risultati del progetto
Al momento, circa 150 persone a Torino e provincia aderiscono al progetto Famiglie Accoglienti, con una quarantina di nuclei di accoglienza attiva. Anna Valesano, coordinatrice di alcune iniziative, ospita nella sua casa a Pino Torinese una giovane coppia di sposi marocchini, Mariama e Mohammed. Nonostante il permesso di soggiorno, la coppia avrebbe l’obbligo di risiedere in provincia di Benevento. Così Anna ha deciso di accoglierli nella sua casa per consentire loro di completare il loro percorso. “Lui è elettricista, lei infermiera, anche se il suo titolo di studio non è riconosciuto in Italia. Ora Mariama sta prendendo il diploma di scuola secondaria, inoltre sta seguendo un corso di formazione presso la Croce Rossa di Trofarello. L’obbligo di risiedere a Benevento sarebbe stato un passo indietro. A quel punto ho deciso di accogliere la coppia perché potesse concludere il progetto“, ha infatti spiegato Anna.
L’esperienza di accoglienza diffusa non solo fornisce un tetto, ma crea vere e proprie famiglie allargate. Anna, per esempio, racconta di aver festeggiato il Natale con un ragazzo che aveva vissuto con lei per due anni e mezzo, sottolineando come questi legami diventino spesso indissolubili. “Ho 62 anni, sono vedova e accolgo queste persone da sola. Però con l’aiuto indispensabile della mia famiglia allargata, composta da un figlio del mio primo matrimonio, sposato, con due bambini, da una figlia del primo matrimonio di mio marito, insieme al suo compagno. E poi ci sono nostra figlia di 25 anni oltre a una coppia di consuoceri. Anche questo significa fare rete. Una rete nella quale, come dicevo, si innestano gli altri rapporti che si creano con le persone che ospitiamo, e naturalmente con molte tra le famiglie ospitanti. È questa, l’accoglienza diffusa”.
Un intreccio di persone, quindi, che si sono salvate l’un l’altra. E così, contemporaneamente, si dimostra come la solidarietà e l’integrazione possano coesistere, offrendo alle persone in cerca di rifugio non solo un tetto ma anche un nuovo inizio all’insegna della comprensione, della condivisione e della costruzione di relazioni durature.
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