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Tratta e sfruttamento. Quante vittime e quanta sofferenza anche in Italia?

Il rapporto Eurostat 2015 tratteggia solo in superficie un fenomeno che appare largamente diffuso di traffico  e grave sfruttamento lavorativo. E si nasconde anche dietro le primizie che arrivano sulle nostre tavole

 

 

Roma – 29 aprile 2016 – Secondo il rapporto “trafficking in human beings” di Eurostat, edizione 2015 – ma con dati fermi al 2012 – la tratta di persone, sia per motivi di sfruttamento sessuale, sia per gravi forme di sfruttamento lavorativo è una piaga in forte crescita che nel mondo riguarda 21 milioni di persone. Ma è anche un fenomeno elusivo che spesso sale alla luce solo quando le vittime denunciano i propri aguzzini e che appare molto difficile da combattere, malgrado leggi e norme del codice penale adeguate . 

Non è un caso se il Governo ha varato a febbraio un nuovo piano nazionale d’azione in cui si affronta la tematica con un approccio multidisciplinare: “prevenzione, azione penale, protezione e cooperazione” sono le nuove parole d’ordine. Due i binari su cui muoveranno gli interventi: il primo di contrasto e repressione del crimine di sfruttamento di esseri umani, affidato alle forze dell’ordine, e il secondo di prevenzione e protezione delle vittime, affidato ai servizi sociali e del privato sociale accreditato. 

Si tratta di creare nel biennio 2016–2018 un coordinamento più efficace multi agenzia e multidisciplinare, attraverso il Meccanismo nazionale di referral (un insieme di raccomandazioni e misure pratiche che guideranno tutti gli attori coinvolti), sulle diverse forme di tratta e sui vari target di vittime. Le novità principali riguardano la formazione di tutti gli attori impegnati nel campo: sono state infatti realizzate linee guida per l’identificazione delle potenziali vittime sia tra i migranti irregolari sia tra i profughi richiedenti asilo, e procedure operative per la prima assistenza e la presa in carico dei minori.

Bisogna considerare che l’aumento ingente dei flussi di migranti e profughi in arrivo in Europa ed  Italia moltiplica i rischi di tratta e sfruttamento per decine di migliaia di persone. In effetti gli strumenti messi a disposizione – leggi, ispezioni, assistenza alle vittime e punizioni dei trafficanti –  ed i risultati appaiono per ora modesti rispetto al numero delle vittime assistite e degli aguzzini puniti. 

Il rapporto Eurostat del 2015 parla infatti di sole 30.146 vittime registrate in Europa, di cui il 69% per sfruttamento sessuale, il 19% per lavoro para schiavistico, senza contare altri motivi orribili (12%) come il traffico di organi, attività criminali, avvio alla mendicità e/o vendita di bambini.  

Le vittime di tratta sono soprattutto donne (80%) e – contrariamente a quando si crede – la maggioranza delle vittime viene da uno degli Stati Membri della UE (65%). In  testa la Romania, seguita dalla Bulgaria , Olanda, Ungheria e Polonia. Le vittime in arrivo da paesi Terzi, provengono da Nigeria soprattutto, ma anche da Brasile, Cina, Vietnam e Russia. 

Tra le vittime registrate dalle autorità e citate da Eurostat nel periodo 2010 – 2012 anche mille bambini. Le indagini hanno prodotto, nello stesso triennio, 8.805 rinvii a giudizio e 3.855 condanne.  In pratica solo un caso di tratta su 10 risulta perseguito e punito.

Nelle sue molte opere sulla piaga della tratta e del lavoro para schiavistico, il Prof. Francesco Carchedi ha scritto: “Il lavoro forzato è ancora un fenomeno poco conosciuto e scarsamente individuabile, ma in modo quasi impalpabile sta penetrando in tutti i settori economici tradizionali. Il totale assoggettamento della persona è la forma più grave, ma nel nostro paese si riscontrano situazioni in cui un grave sfruttamento lavorativo compromette seriamente la dignità e la capacità di autodeterminazione degli individui. Ad esempio quando i lavoratori percepiscono un compenso che spesso non raggiunge la metà dei livelli minimi salariali previsti, o quando l’orario va addirittura oltre le quindici ore giornaliere. Le sottili forme di violenza e di minaccia dei datori di lavoro, la mancanza di informazioni sui propri diritti, la necessità di acquisire un reddito ad ogni costo, o, semplicemente, la disperazione fanno sì che queste condizioni vengano spesso tollerate”. 

E’ importante dunque conoscere meglio e diffondere la conoscenza del fenomeno, delle forme che esso assume nelle economie contemporanee e della sua interrelazione con la tratta di persone e lo sfruttamento lavorativo, e da qui partire per elaborare e mettere in campo efficaci interventi di prevenzione e di contrasto. 

Lo sfruttamento in Italia ha il volto di uno dei tanti migranti che lavorano nei campi, o delle donne che vengono ricattate per piegarsi alla prostituzione, con minacce dirette anche alla famiglia nel paese d’origine. Ha la forza delle organizzazioni malavitose e del caporalato, in genere radicate nei territori e con strumenti d’azione moderni ed efficaci. Come risultato produce, da un lato, una quota dei prodotti che portiamo sulle nostre tavole, dall’altro la miseria e il degrado di molti migranti.

Si tratta però di un fenomeno difficile da rendere visibile: le statistiche ufficiali parlano di poche migliaia di vittime. Ma sappiamo che gli 8.800 casi di rinvio a giudizio fino al 2013 sono solo la punta dell’iceberg. Un cifra largamente sottostimata, come dimostrano i dati del progetto “Presidio” di Caritas: in meno di sei mesi, nel 2014, sono stati registrati 1.300 casi di sfruttamento tra i migranti al lavoro nei campi, diventati già 2.000 nei primi mesi del 2015, senza contare la successiva stagione dei raccolti estivi.

Secondo gli esperti la piaga è molto diffusa su tutto il territorio nazionale, resa ancora più grave dall’arrivo in Italia tra il 2014 ed il 2016 di oltre 370 mila migranti e profughi, entrati in forma irregolare e quindi facili prede della tratta e dello sfruttamento lavorativo grave. Secondo le organizzazioni cattoliche si parla di “diverse decine  di migliaia di persone in Italia che in agricoltura, ma anche in altri settori come l’edilizia, l’industria e il lavoro domestico, sono oggetto di sfruttamento lavorativo più o meno grave”. 

Questi lavoratori costituiscono la parte più vulnerabile dell’immigrazione in Italia. Si trovano in condizioni tali, da dover accettare anche condizioni di lavoro para schiavistiche, pur di avere  quel minimo retributivo che consenta loro di  sopravvivere e magari mandare qualche euro alla famiglia in patria. Il prezzo da pagare è ovviamente quello di condizioni inaccettabili di lavoro, paghe da fame, tangenti da pagare ai caporali. C’è chi specula pagando cifre giornaliere irrisorie a queste persone, per permettere di avere tutto l’anno primizie sulle nostre tavole, che paghiamo così poco perché alla base di questa filiera c’è chi viene gravemente sfruttato. 

Ma quali strumenti usare per rompere questa catena di sfruttamento che lega i migranti e le nuove forme di schiavitù? 

Per Davide Mancini, procuratore distrettuale antimafia a l’Aquila: “l’obiettivo deve essere quello di  farli uscire dall’invisibilità, come prima cosa. E certamente le iniziative singole e buone pratiche di molti territori sono auspicabili. Ma quello che realmente si necessita è una vera politica anti-tratta e anti-sfruttamento. E sarebbe opportuno che il tutto avvenisse, come si dice in contesti internazionali, attraverso un sistema “multi agenzia” ovvero tutti dalla stessa parte per ottenere un risultato”.

Giuseppe Casucci
Coordinatore nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL

 

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