Chiedeva di essere messo in regola, il datore di lavoro lo uccise. Il dialogo tra il premio Nobel e la figlia dell'ingegnere-operaio romeno
Roma – 18 maggio 2015 – Il 14 marzo 2000 Ion Cazacu fu bruciato vivo da suo datore di lavoro a Gallarate, vicino Varese.
Aveva 40 anni, era un ingegnere, ma in Italia era riuscito a trovare lavoro solo come manovale, in nero. Quando chiese un contratto regolare perché voleva essere un uomo libero e non nascondersi più alle autorità, il piccolo imprenditore edile che lo pagava gli versò addosso una tanica di benzina e gli diede fuoco.
Con il 90 per cento del corpo ustionato, rimase in agonia per un mese prima di morire. Lasciò la moglie e le due figlie, una delle quali, Florina, vive in Italia da allora e ha continuato la lotta di suo padre per la giustizia e contro l'illegalità. Da un dialogo con lei, il premio Nobel Dario Fo ha tratto il libro: “Un uomo bruciato vivo” edito da Chiare Lettere.
Nel prologo di ricorda che le storie di sfruttamento e violenza contro i lavoratori immigrati continuano anche ai nostri giorni. “Perché –scrive Fo – ci siamo preoccupati di denunciare una situazione tanto drammatica e indegna, che si perpetua da anni nel nostro paese? Soprattutto per la ragione che di questa infamità vergognosa, noi, spettatori spesso indifferenti, siamo del tutto colpevoli”.
“Non ho fatto altro che cercare di comportarmi così come mi ha sempre insegnato mio padre” dice Florina Cazacu. L'insegnamento di Ion Cazacu? "Non arrendersi mai, non rimanere fermi ad assistere alle ingiustizie mentre pochi uomini spietati ci trattano da schiavi”.
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