Roma – 8 settembre 2012 – ”Era buio, ho cercato di tenerlo stretto ma poi l’ho perso di vista e il mare se l’e’ preso…”
Wafa, 25 anni, un figlio in grembo, non si dà pace. Lei è salva, assistita dai medici del Poliambulatorio di Lampedusa, ormai al sicuro come gli altri 55 superstiti del naufragio di giovedì notte. Ma il fratellino di cinque anni che aveva portato con sé nel viaggio della speranza verso l’Italia è stato inghiottito dal mare.
La donna, tunisina come i suoi compagni di viaggio, era già arrivata a Lampdusa l’anno scorso, ma era stata rimpatriata.”In Tunisia facevo la parrucchiera – ha raccontato – ma non guadagnavo abbastanza. Per questo ho deciso di tentare nuovamente la sorte insieme a mio fratello. Non abbiamo altri parenti, non potevo lasciarlo solo”.
Così, giovedì mattina sono partiti con gli altri da Sfax per raggiungere l’Italia. Il loro viaggio è finito nelle acque che circondano Lampione, isolotto a dieci miglia da Lampedusa. ”Era buio, ho cercato di tenere stretto mio fratello, poi l’ho perso di vista e il mare se l’e’ preso…” dice Wafa.
La dinamica del naufragio non è ancora chiara. I superstiti dicono che il vecchio peschereccio di legno su cui viaggiavano si è riempito di acqua ed è affondato. Finora però non è stato recuperato alcun pezzo dell’imbarcazione.
La procura di Agrigento non esclude che i migranti siano stati in realtà buttati in mare vicino Lampione da una nave madre che poi è tornata in Tunisia . Racconterebbero una versione diversa per paura delle ritorsioni degli scafisti contro le famiglie rimaste in patria.
Intanto le ricerche sono andate aventi tutta la notte e proseguono senza sosta. Sempre secondo le testimonianze dei superstiti, sono disperse settantanove persone.